"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 1 dicembre 2013

Il Vangelo della domenica. "L'Arca di Noè e il pericolo di guardare solo l'effimero" Commento di don Umberto Cocconi.

 
 


Pubblicato da Don Umberto Cocconi  il giorno domenica 1 dicembre  2013 alle ore 6,55
Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Vangelo secondo Matteo).
 
Ci ricordiamo ancora la storia di Noè, colui che costruì l’arca? Perché i suoi contemporanei non si accorsero che qualcosa di grande e di spaventoso stava per accadere? Perché tra la salvezza e la catastrofe imminente hanno scelto di non scegliere, di lasciarsi travolgere dagli eventi? Avranno pur visto che un uomo e la sua famiglia si stavano dando da fare, per far fronte al grande evento, che si sarebbe verificato di lì a poco. Lo consideravano un folle, uno che aveva del tempo da perdere. Eppure un po’ di follia a volte è segno d’intelligenza, ossia di capacità di percepire in profondità gli eventi. La storia del diluvio, che si abbatté su quella generazione “distratta” e disinvolta, che non aveva creduto alla predicazione di Noè, non mette forse in evidenza la necessità di saper leggere i segni dei tempi, oggi come allora? E’ drammatico come quella generazione, eccetto Noè e la sua famiglia, che non si era accorta di nulla, fosse presa soltanto dalle cose effimere di tutti i giorni, preoccupata soltanto di mangiare e di bere. Gesù confronta la sua generazione con quella che visse ai giorni di Noè, e se noi facessimo lo stesso paragone con la nostra, cosa ne verrebbe fuori? Come mai non ci accorgiamo del mistero della vita, della presenza nel frammento del “Totalmente Altro”, come facciamo a non accorgerci che c’è qualcosa che ci supera, che ci attende? Come mai non siamo più capaci di cogliere la presenza di Dio nella nostra storia? Ci stiamo cullando in false sicurezze, ipnotizzati, come sempre, dal sensibile e dall’effimero. Siamo divenuti dei “dormienti” perché ci siamo appisolati: non vigiliamo più e dunque non “viviamo” più. Abbiamo paura dell’imprevedibile e per questo ci chiudiamo a riccio, senza scrutare l’orizzonte e senza un’attesa vigilante. Siamo una generazione che non sa più leggere i segni dei tempi, per quanto è divorata dalle cose di questo mondo.
 
 L’uomo di oggi sembra essere perennemente distratto: non c’è mai con la testa e con il cuore, impegnato com’è a rimanere “connesso” con il mondo e mai con se stesso. Sembriamo vivere sempre di più al di sotto delle nostre possibilità umane. La vita di tanti di noi scorre in modo banale e superficiale, si disperde nella pluralità “orizzontale” dei contatti effimeri e delle sollecitazioni immediate, e tutto ciò priva la maggior parte degli individui della dimensione della profondità. Siamo pigri e negligenti; ci sottraiamo alla fatica di pensare e di interrogarci, per noi, tutto è divenuto scontato. Abbiamo fatto del non vedere, del non sentire, del non lasciarci toccare e interpellare la condizione del nostro vivere. L’uomo vigile, come Noè, è invece, costantemente presente a se stesso e agli altri. E’ uno che c’è con la testa e con il cuore, attento a discernere la presenza del “Totalmente Altro” negli eventi della storia e della quotidianità. Grazie alla sua lucidità, sa trovare sempre in sé motivazioni, radici e forze tali da non appiattirsi sul presente e sull’immediato, è anzi in grado di confrontarsi su un lungo periodo. C’è chi si accontenta di stare nel cortile di casa e non sa andare al di là del proprio naso, c’è invece chi fa sogni, chi progetta oltre se stesso e per questo non si accontenta di vivere mangiando, bevendo e divertendosi. C’è chi comprende che la vita è una grande opportunità e quindi “esagera”, osa sfidare il contingente, mentre guarda verso il futuro, perché ha una speranza nel cuore. Come afferma Tonino Bello, attendere è l’infinito del verbo amare: solo così si può sperimentare il brivido della vita. Accomodarsi nella propria nicchia può essere segno di rassegnazione; attendere, al contrario, è sempre segno di speranza. «La vera tristezza non è quando, la sera, non sei atteso da nessuno al tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. E la solitudine più nera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio».
 
Gesù, come sempre, ci provoca, ci suscita dentro mille domande. Per essere sicuri di non essere mai “derubati”, dovremmo forse spendere tutto il nostro tempo in attesa vigilante del Figlio dell’Uomo, rischiando di trascurare le altre cose, gli altri aspetti della nostra vita? Aspettando la venuta del Signore e dedicando a questo tutte le nostre risorse, non rischiamo di distrarci da altre cose importanti della vita, come la famiglia, la realizzazione lavorativa e sociale? E se poi il Signore non bussasse mai alla nostra porta? E se fosse tutta un’illusione per tranquillizzarci? E se il tempo a nostra disposizione fosse quello di tutta la nostra vita, saremmo disposti a spenderlo, nell’attesa di qualcosa che forse non accadrà mai? L’uomo, che crede, ha a disposizione un’eternità per stare al fianco di Dio, quindi può “permettersi” di spendere il tempo, a lui concesso sulla terra, ad attendere. Invece un uomo, che non ha fede, ha il terrore che dopo la vita terrena non ci sia proprio nulla, e per questo non è disposto a rischiare il poco tempo che ha a sua disposizione, in un’attesa forse vana. Ci dovremmo però chiedere: chi è colui che viene? “E’ l’Amore della tua vita, è il Desiderio di pienezza e di autenticità a cui aspiri!”. A te è chiesto, sempre e comunque, di ascoltare questo desiderio di pienezza, di autenticità, di vera umanità che alberga nel più profondo di te. Se tu non lo ascoltassi, la tua vita sarebbe consegnata alla mediocrità e le cose, che consideri tanto importanti, non ti direbbero più niente. Nel momento in cui dobbiamo confrontarci con il limite del tempo, ogni cosa assume un significato unico e irripetibile e tutto diventa più importante. E’ “una volta per sempre”. Anzi, chi non attende il ritorno del Signore è chiamato, a maggior ragione, a fare della propria vita un capolavoro di vera e piena umanità, perché è convinto di non avere una seconda possibilità. Il tempo, per lui, si è fatto breve: deve giocare e rischiare, proprio perché, nell’azzardo dell’eternità, si gioca davvero tutto.
(DON UMBERTO COCCONI)

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