"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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martedì 24 dicembre 2013

Il Vangelo di Natale Così "Luca racconta la nascita di Gesù". Commento di don Umberto Cocconi.



Pubblicato da Don Umberto Cocconi  il giorno sabato 21 dicembre  2013 alle ore 16,53

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.  Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» . E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». (Vangelo secondo Luca)
 
L’evangelista Luca è uno storico e, come tutti gli storici, è attento non solo alle coordinate spazio-temporali, entro cui si svolgono gli eventi, ma porta il lettore a cogliere il valore e il significato profondo degli eventi. La sua non è una semplice cronaca dei fatti, pur essendo tutti precisi e documentati. Basti pensare alla cornice, entro cui colloca la nascita di Gesù: il censimento indetto dall’imperatore Cesare Augusto, al tempo del governatore della Siria, Quirinio. Inoltre egli ci aiuta ad andare in profondità, a “comprendere” che, proprio dentro questa storia, a prima vista governata dai grandi, che sembrano, con il loro potere,  essere gli artefici della sorte degli uomini accade, in realtà alla periferia del mondo, un fatto, destinato a cambiare tutta la storia dell’umanità: la nascita di Gesù. Come i discepoli anche noi “siamo incapaci di riconoscere” e di leggere gli eventi, perché, i nostri occhi,  come se fossero chiusi non sanno cogliere la verità dei fatti. A questo riguardo Marc Bloch scrive che un atteggiamento guida  la nostra ricerca: il desiderio di “comprendere”. Ma «non comprendiamo mai abbastanza, perché giudichiamo troppo spesso e troppo presto. Colui che differisce da noi – straniero, avversario politico – passa, quasi necessariamente per un malvagio. La storia, purchè rinunci alle sue false arie da arcangelo, deve aiutarci a guarire da questo difetto. E’ una vasta esperienza delle varietà umane, un luogo di incontro degli uomini». Lo ricerca storica, dunque,  rende il soggetto, capace di approfondire i suoi ragionamenti, verso un più elevato ordine di complessità, rendendolo in grado di formulare giudizi e valutazioni sempre più fondanti e logicamente più coerenti. 
 
Ciò che sta a cuore all’evangelista Luca è affermare che “il centro del tempo” è  Gesù Cristo e il cristianesimo, prima di essere un insieme di dottrine o una serie di regole per ottenere la salvezza, è l’”avvenimento” di un incontro del tutto reale, non immaginario. La sorpresa è che questo “incontro” avviene di nuovo e sempre nella storia di ogni uomo e di ogni donna, proprio perché il cristianesimo si identifica con un fatto e non con un’ideologia: la nascita di Cristo. Nella Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II afferma: «Non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!». Come è possibile che qualcosa di particolare, un “frammento”, possa avere una rilevanza universale? Come può la vicenda particolare di Gesù di Nazaret avere valore per ciascun uomo di ogni luogo e di ogni tempo? Se Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazaret allora egli è la rivelazione definitiva di Dio. Non è il solito profeta che parla in nome di Dio, ma è Dio che, attraverso di Lui, parla. È Dio stesso che parla personalmente all'umanità, la conduce alla comunione con sé e perciò la salva. Qui c'è lo scandalo del trascendente che diviene immanente e addirittura si fa mortale, come ogni uomo. Non un uomo che si fa Dio, e la storia è piena di tali personaggi, ma un Dio che si fa uomo: questo è il vero scandalo! Colui che cambierà poi la storia e il cuore degli uomini, non abitava “tra i potenti”, non indossava morbide e lussuose vesti, ma al momento della sua manifestazione al mondo era deposto in una “mangiatoia”, la sua culla. Per la sua famiglia non c’era posto nell’albergo, come c’è scritto nel prologo di Giovanni:  «venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto».
 
C’è un forte contrasto tra quello che realmente succede e i protagonisti della vicenda: questo bambino non era stato chiamato “figlio dell’altissimo”? Eppure per lui, nonostante che “tutto sia stato fatto per mezzo di lui” non c’era neppure un luogo “dove posare il capo”. Penso allo shock, allo spaesamento  di Maria e di Giuseppe, ai dubbi e alle domande perché non avrebbero mai immaginato che quel bambino nato a Betlemme, preannunciato da un angelo come “santo e figlio dell’Altissimo”, fosse deposto proprio nella mangiatoia di una stalla. Sicuramente quello è stato un gesto affettuoso e protettivo da parte di Maria in quel momento così particolare: mettere Gesù, così piccolo, al sicuro, nel luogo dove gli animali vanno quotidianamente a nutrirsi, una specie di culla fatta di assi intrecciate, riscaldata dal calore del bue e dell’asino. «La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento. Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo, come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna» (Benedetto XVI). Siamo a Betlemme, il cui nome significa città del pane, come se questa nascita si prefigurasse in anticipo il dono del pane di vita, che avrebbe dato Gesù, per la salvezza del mondo. Non c’è bisogno di aspettare la lavanda dei piedi, quel gesto umile, con cui Dio stesso si pose al servizio degli uomini, perché fin da subito, da quando Maria «lo depose in una mangiatoia», il Dio bambino è stato il Dio per noi.
 
Diversi Padri della Chiesa vedono nella “mangiatoia” (e non solo loro) il luogo del peccato, poiché come l’animale ritorna alla greppia, così l’uomo torna al proprio peccato. Dopo il peccato, infatti, l’uomo si è rivestito della pelle dell’animale, perché, a causa di questo, è dominato dalla paura della morte e percepisce, di conseguenza, la sua corporeità in modo animalesco. Una volta staccato dalla “Fonte della vita”, si deve aggrappare a qualcosa che gli dia un po’ di gratificazione, un po’ di piacere, per non sentire il nulla che lo avvolge. Allora Dio, volendo ritrovare il peccatore, va a cercarlo proprio lì, sapendo che a quell’appuntamento non potrà sottrarsi. Molti secoli dopo, in pieno Medioevo, c’è un’altra mangiatoia, su cui puntare l’attenzione: quella sulla quale Francesco d’Assisi, a Greccio, nel lontano 1223,  volle fosse celebrata l’eucaristia nella notte di Natale. Allora nessun neonato interpretò Gesù bambino, come nessuno recitò la parte di Maria e Giuseppe, perché gli elementi della scena erano ridotti all’essenziale: una mangiatoia  - e qui la novità! – che fece da altare, vicino ad un asino e un bue. Il santo di Assisi volle rappresentare in un’unica e inscindibile immagine l’incarnazione, quel farsi piccolo, umile e povero di Dio,  con l’eucaristia, che è il mettersi di Dio nelle nostre mani, a nostra disposizione: «Lui che era ricco sopra ogni altra cosa, volle scegliere la povertà». 
(DON UMBERTO COCCONI)

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