"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 10 marzo 2013

Il Vangelo della domenica. Commento di don Umberto Cocconi.






Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno domenica 10 marzo 2013 alle ore 14,29







Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze ... »(dal vangelo secondo Luca)
Una delle principali chiavi d’interpretazione di questa celebre pagina del vangelo di Luca sta nel suo “incipit”, nella scena iniziale, che precede la parabola. Gesù occupa il centro di un misterioso campo di forze, di due dinamismi opposti. Da una parte, gli si stringono intorno, per ascoltarlo i peccatori, i fuori casta, gli ultimi, gli emarginati, quelli che non contano niente, quelli che hanno sbagliato. Dall’altra parte stanno invece i cosiddetti puri e giusti, rappresentati dagli scribi e dai farisei, che si allontanano e si tengono a debita distanza da questo sedicente maestro che «accoglie i peccatori e mangia con loro». “Che modo di fare è questo?” sembrano dire. Non sarebbe più corretto far vivere agli “empi” un bel momento penitenziale, indurli prima a riconoscere le proprie trasgressioni alla legge divina e poi, una volta purificati, decontaminati, lasciarli avvicinare? La goccia che fa traboccare il vaso è stato il fatto che Gesù mangiava con gli “impuri”, condivideva con loro il pasto, il momento più “comunionale” della giornata e della vita sociale ordinaria, momento che presso gli ebrei era regolamentato da un gran numero di precetti e divieti. Era un vero e proprio rito religioso. Che razza di maestro è se si comporta così? Che immagine dà di Dio? Il suo modo di fare sembra proprio fatto apposta per indurre la gente a trasgredire le leggi! Scribi e farisei si consideravano i difensori canonici dei diritti di Dio costantemente violati, e dunque autorizzati, da Dio stesso, a “fare giustizia” in suo nome. Gesù è bollato da loro come un “costui”, neppure degno di essere chiamato per nome: quanto disprezzo e ostilità in questa espressione! 

Questi farisei non lo sopportano, perchè giudicano il suo comportamento riprovevole. Nei personaggi della parabola dei due fratelli dobbiamo vedere, i due gruppi di persone, prima menzionate, che ascoltano le parole di Gesù. Da una parte il figlio più giovane «che raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto... Allora ritornò in sé e disse: ... “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre». Dall’altra parte abbiamo il figlio maggiore, che se la prende con l’atteggiamento arrendevole del Padre nei confronti del figlio che è stato perdonato al suo ritorno. Il figlio che si riteneva giusto era talmente indignato per il comportamento del padre, che non voleva far festa, e non voleva entrare neppure quando suo padre «uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”». In queste parole c’è tutto l’astio degli scribi e dei farisei contro Gesù, che riceveva gli empi e faceva festa con i peccatori e i pubblicani che si avvicinavano a lui. E’ interessante, a questo riguardo, osservare tutte le azioni compiute dal Padre quando accoglie il figlio mentre si avvicinava a lui: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò ... il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa”». 

Dunque, al centro della scena, in cui è inserita la parabola, sta Gesù – lui che disse “chi vede me vede il Padre” e  davanti a lui idealmente ci sono i due fratelli, il  misero e il giusto. Che cosa succederà fra i due fratelli? Il padre rivuole non solo il figlio minore, ma anche il figlio maggiore. Il figlio maggiore ha ancor più bisogno di essere ritrovato e  di essere ricondotto alla casa della gioia! Nel sentire le parole del Padre: «“tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”», ci sarà l’abbraccio del figlio maggiore verso il proprio fratello? Saprà partecipare alla festa, oppure resterà ancorato alla sua amarezza e al suo risentimento? Come si concluderà la storia? Dipende da te che ascolti, fratello maggiore!  Tu che ti consideri giusto sarai capace di “rallegrarti e condividere la gioia del Padre per il ritorno del fratello perduto”? Solo il padre è buono: ama entrambi i figli. Corre fuori per andare incontro a tutti e due. Vuole che sia l'uno che l'altro siedano alla sua mensa e condividano la sua gioia. Il fratello più giovane si lascia stringere in un abbraccio misericordioso, ma il fratello maggiore si lascerà abbracciare? L'amore di Dio non dipende dal nostro pentimento o dai nostri cambiamenti interiori ed esteriori, perchè lui ama sempre. Che io sia il figlio minore o il figlio maggiore, l'unico desiderio di Dio è di riportarmi “a casa”. Come dice Shakespeare in uno dei suoi sonetti: «L'amore non è amore se muta quando trova mutamenti». Dio non ama il figlio minore più del maggiore. Dio mi chiama sempre ad essere “figlio”. La parola greca per “figlio”, che Luca usa qui, è “téknon”, che significa partorito, tecnicamente “figlio fatto da me”, ossia creatura, meglio ancora “bambino”. Ricordati che Dio non ti ama perché sei bravo, perché te lo meriti: Lui ti ama e basta. La storia del figlio perduto e ritrovato «è la storia di un Dio che viene a cercarmi e non si dà pace finché non mi ha ritrovato. Egli sprona e supplica. Mi chiede di non aggrapparmi più alle forze della morte e di lasciarmi accogliere dalle braccia che mi condurranno dove troverò la vita che più desidero» (Henri. J. M. Nouwen).         
(DON UMBERTO COCCONI)

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