"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


PARMAINDIALETTO Tv


Tgnèmmos vìsst
Al salùt pramzàn äd parmaindialetto.blogspot.com

“Parmaindialetto” è nato il 31 luglio del 2004. Quest’anno compie 16 anni

“Parmaindialetto” l’é nasù al 31 lùjj dal 2004. St’an’ al compìssa 16 an’

Per comunicare con "Parmaindialetto" e-mail parmaindialetto@gmail.com

L’ UNICA SEDE DI “Parmaindialetto” SI TROVA A PARMA ED E' STATO IDEATO DALLA FAMIGLIA MALETTI DI “PÄRMA”.







domenica 5 ottobre 2014

IL VANGELO DELLA DOMENICA. COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI

IL VANGELO DI DOMENICA 5 OTTOBRE 2014
Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». (Vangelo secondo Matteo)

A chi sta parlando Gesù? Chi sono i suoi interlocutori? L’evangelista Matteo evidenzia che Gesù si sta rivolgendo proprio alle autorità e all’establishment religioso del suo tempo. Lui, considerato da questi oligarchi un “mangione e beone”, un maestro di dubbia provenienza - arriva da Nazaret, contrada tutt’altro che nobile - ha l’ardire di contendere con “i capi, i principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo”. Gesù è consapevole del rischio che corre, ma non per questo si sottrae al confronto: sa di che “lana vanno vestiti” i custodi e i legittimi rappresentati della religione. Quale sarà la strategia dialettica del profeta di Nazaret per iniziare il dialogo? Proprio per farsi intendere dai suoi maldisposti interlocutori, Gesù racconta proprio a questo scopo una parabola. A differenza di altre forme di racconto, la parabola ha come scopo primario quello di rendere gli  ascoltatori partecipi della storia, anzi il loro coinvolgimento nella vicenda narrata, li spingerà addirittura a intervenire e a farsi protagonisti e attori della stessa vicenda. Di fronte alla parabola, non puoi essere un ascoltatore passivo o distratto: ti prende, ti avvolge, ti inchioda, ti chiama a prendere una posizione. Non si può essere neutrali, anzi, bisogna schierarsi per questo o per quello. Se leggiamo con attenzione il passo del vangelo, vediamo svolgersi proprio questa interazione tra la storia raccontata e la reazione degli astanti. Gesù sa coinvolgere con sapienza i suoi “critici” uditori dentro lo splendido dinamismo del racconto, senza che se ne rendano conto. 

La storia narrata non è altro che la loro storia: saranno loro stessi ad autoaccusarsi della morte del “figlio del padrone della vigna”. Infatti, alla domanda diretta di Gesù: “Che cosa farà il padrone della vigna a quei contadini, che gli hanno ucciso il figlio?», gli interpellati, ovvero i capi dei sacerdoti e degli anziani, risponderanno: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». Stanno riconoscendo pubblicamente la propria malvagità: anche loro non hanno accolto il Figlio, anche loro lo vogliono morto, e dunque non sanno produrre uva buona, ma acini acerbi, proprio come i loro padri, uccisori dei profeti. Possiamo ben parlare del Vangelo come di una “logo-terapia”. E’ il racconto che mi ri-racconta, e ciò che leggo, mi legge, e dà nuova conoscenza di me. Mentre interpreto il testo, vedo che il testo si “applica” a me. Il racconto mi dice sempre qualcosa di nuovo, in modo più profondo e più liberante. Mi accorgo che dentro di me, sotto cumuli di paure e strati di menzogne, c'è una verità che deve venire alla luce e di cui forse temo il disvelarsi. La Parola è come il sole: dissolvendo menzogne e paure, mi fa vedere la mia verità. In tal modo, proprio entrando in risonanza con la Parola, mi riconosco e progressivamente divento il figlio che Questa vuole risvegliare. In tal senso il Vangelo è davvero una “logo-terapia”, ossia una parola terapeutica, un antivirus che mi riconsegna, nella sua integrità, il vero significato dei termini  fondamentali: verità, vita, amore, libertà, che il grande “mentitore fin dal principio” ha stravolto e mistificato, in schiavitù, egoismo e morte.

 E’ proprio la parola del vangelo ad aiutare l'uomo a crescere nella libertà, intesa come libertà di amare. Meister Eckhart osava dire che dobbiamo «pregare Dio di liberarci da Dio». Più moderatamente, possiamo dire che dobbiamo leggere il Vangelo perché la Parola ascoltata, ci liberi dal dio che i “religiosi” “teologizzano con fantasia” e che gli atei, giustamente, negano. Solo così potremo conoscere quel Dio che nessuno ha mai visto e che la Parola «fatta carne» ci ha rivelato. Per i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, ciò che Gesù fa e dice risulta scandaloso. L’inevitabile  conseguenza non può essere che la sua eliminazione da parte dei benpensanti, religiosi e non. Dalla reazione degli astanti, infatti, Gesù ha la conferma di essere stato nettamente rifiutato dall’intellighenzia del suo tempo: è divenuto per loro la pietra che i costruttori hanno deciso di scartare. E’ questo il paradosso più grande: sono proprio gli uomini religiosi a ritenere Gesù, non idoneo al ruolo di Messia, perché è un messia troppo scomodo e troppo discordante dalla loro teologia. Il Dio di Gesù Cristo non gradisce di abitare nello spazio angusto di idee, concetti e rappresentazioni “falsate”! Sono proprio loro, gli “esperti” di Dio, gli interpreti di Dio, a non riconoscere che Gesù è l’inviato del Padre. Perché? Quale volto di Dio ci ha raccontato il rabbì di Nazaret? Gesù è temuto proprio per questo, perché rivela all'uomo la sua vera identità e nel contempo rivela il vero volto di Dio: non più padrone, ma Padre, Sposo dell’umanità, infinita Misericordia.

 L'affermazione che Dio si è fatto uomo,  - e quale uomo! -  è la novità assoluta, a cui corrisponde una verità non meno sconvolgente di quella, secondo la quale l'uomo è fatto Dio - e quale Dio! Il cristianesimo, secondo questo punto di vita, risulta così blasfemo per ogni religione, perché ha un rispetto assoluto per l'uomo, anche quando sbaglia. Il rispetto è inscindibile dall'amore, pertanto è in assoluto la prima qualità di Dio! Il cristianesimo comporta l'uscita dalla “religione” intesa come “costrizione”, sudditanza e legame per vivere nella libertà di figli: è il passaggio dalla legge che condanna alla morte, alla grazia dello Spirito che dà la vita vera. Il centro è spostato dalla riverenza dell'uomo nei confronti di Dio, alla riverenza di Dio nei confronti dell'uomo. Scrive Pascal: «Non solamente non conosciamo Dio se non attraverso Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi che attraverso Gesù Cristo. Fuori di Gesù Cristo noi non sappiamo cos'è né la nostra vita né la nostra morte, né Dio né noi stessi. Così senza la Scrittura, la quale non ha che Gesù Cristo come oggetto, noi non conosciamo niente e non vediamo che oscurità nella natura di Dio e nemmeno nella nostra».
(DON UMBERTO COCCONI)

Nessun commento: