"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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sabato 18 ottobre 2014

IL VANGELO DELLA DOMENICA: COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI

(IL VANGELO DI DOMENICA 19 OTTOBRE 2014)
I farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiàni, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». (Vangelo secondo Matteo)

Che “furbacchioni” questi farisei! Da abili dialettici quali sono, hanno architettato un piano davvero ingegnoso per incastrare Gesù: attirarlo in una disputa, squisitamente politica e talmente interessante da accendere gli animi. Capita anche a noi di discutere di politica; l’argomento spesso ci divide, ci surriscalda, perché parlare di politica vuol dire schierarsi, prendere posizione contro questo o contro quello. Ai farisei, però, non importa l’eventuale posizione politica di Gesù: a loro interessa che Gesù si schieri in favore di qualcuno e così facendo arrivi a danneggiarsi con le sue stesse mani. Perciò, gli mandano il meglio delle loro “giovani leve”, i nuovi dottorini appositamente istruiti, con la scorta degli erodiani, la guardia del re, i tutori dell’ordine pubblico. I dottorini iniziano a disputare con Gesù con fare accattivante: gli tessono grandi lodi, fino a riconoscergli il titolo di maestro e ad affermare che “lui è veritiero, insegna la via di Dio secondo verità e non ha soggezione di alcuno, perché non guarda in faccia a nessuno”. Chi non si sentirebbe lusingato da parole come queste e anzi spronato a “lasciarsi andare”, ad essere brillante fino alla spregiudicatezza? Questa captatio benevolentiae però ci fa capire com’era visto Gesù dai capi e dalle autorità religiose. Nonostante tutto, a Lui veniva riconosciuta la franchezza, la capacità di dire cose impertinenti, a volte smascherare l’ipocrisia altrui e per di più senza “soggezione di alcuno”. La questione, preparata con maestria, è insidiosa, è proprio una vera trappola: “E’ lecito pagare il tributo a Cesare?”. 

Gesù non può rispondere con un sì o con un no, come avrebbero voluto i suoi accusatori, perché si sarebbe ritrovato comunque nei guai. Se avesse dichiarato che “bisognava pagare il tributo a Cesare” si sarebbe compromesso gravemente davanti all’opinione pubblica, in quanto avrebbe avallato il dominio romano sulla Palestina. Il profeta della libertà e dell’emancipazione scende, dunque, a patti con l’ordine costituito, come tutti i comuni mortali? Ma anche se, l’imprevedibile rabbì, avesse dichiarato la non liceità del pagamento del tributo, ne avrebbe, di certo, pagato le conseguenze: gli erodiani lo avrebbero arrestato come perturbatore dell’ordine costituito. Così, senza neppure sporcarsi troppo le mani, questi “zelanti” custodi dell’ortodossia avrebbero tolto di mezzo un “fastidioso sobillatore”, di cui anche il potere romano non poteva tollerare le intemperanze. Ma quando i farisei sono convinti di aver posto Gesù in un vicolo cieco e forse stanno già assaporando la vittoria, ecco che, ancora una volta, il rabbi di Nazaret li spiazza: come giustamente avevano asserito, non ha paura di “sbattere” in faccia le loro intenzioni subdole, denunciandone la spudorata ipocrisia. Chiedendo retoricamente di chi è l’immagine sulla moneta, Gesù pone il problema radicale di quale autorità governi su Israele e sui suoi interlocutori, innanzitutto. Gli imperatori romani facevano imprimere la propria effige sulle monete per diffondere il proprio volto, “il volto del potere”, fino ai confini dell’impero: era quella l’autorità personale alla quale i sudditi dovevano obbedienza! 

Con la semplice richiesta «Mostratemi la moneta del tributo», Gesù attesta di non possederla: sono loro, i farisei, ad averla in tasca, sono loro a “trafficare” con Cesare, a beneficiare dell’economia imperiale, legittimando in questo modo l’invasione del re straniero e dichiarando la propria “sudditanza”! I farisei comprendono che il discorso sta diventando imbarazzante e, non senza un velato disappunto, rispondono sbrigativamente: sì, l’immagine è di Cesare. Ed ecco la frase lapidaria che zittisce tutti: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Questa risposta, la sentenza più famosa di Gesù, dimostra la sua acutezza argomentativa, la sua abilità nel non lasciarsi invischiare in questioni pseudo-politiche, ma non solo: le sue parole sono un appello alla coscienza di ciascuno. Tutti siamo chiamati a interrogarci su che cosa significhi veramente “rendere a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. In questi duemila anni non sono mancate le interferenze, le divisioni, le subordinazioni, i contrasti tra i due poteri, politico e spirituale. Forse, se ascoltassimo con attenzione e senza pregiudizi le parole di Gesù, potremmo coglierne tutta la profondità e nel contempo la carica rivoluzionaria. Gesù afferma "restituite a Cesare" (non “date”), perché la moneta gli appartiene, in quanto porta raffigurate la sua immagine e la sua iscrizione: il pagamento del tributo all'imperatore romano è dunque legittimo. Gesù, però, va ben oltre, manifestando ciò che più gli sta a cuore: "Ma quello che è di Dio, restituitelo a Dio". In una frase come questa l'accento cade su questo secondo elemento. La cosa più importante è che voi restituiate a Dio quello che è di Dio: la vostra qualità di figli, il suo Volto nel vostro volto! L’uomo e la donna non sono forse stati creati a immagine e somiglianza di Dio? Non sono forse chiamati a “trafficare” nel mondo il loro “talento” di figli amati e di fratelli capaci di amore? Siamo noi la moneta di Dio, in questo mondo: noi chiamati a spenderci nell’amore reciproco, a far circolare fraternità, per la piena affermazione del suo Regno.
(DON UMBERTO COCCONI)

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