"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 25 maggio 2014

Il Vangelo della domenica. Commento di don Umberto Cocconi.

 
 
Pubblicato da Don Umberto Cocconi  domenica 25 maggio 2014   alle ore  8,07
 
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Vangelo di Giovanni).
 
Pentecoste si avvicina, lo Spirito Santo fa vibrare intensamente la sua presenza nella liturgia del tempo pasquale. Nel vangelo di oggi, Gesù cerca di introdurre più intimamente la comunità degli amici e dei discepoli nel mistero dell’Amore trinitario. Lo Spirito vuole farsi presente, dispiegarsi con tutta la sua potenza, per estendere su tutti quella sua presenza calda, efficace, trasformante, tra gli uomini e le donne che Dio ama “alla follia”. Tuttavia, nemmeno l’azione dello Spirito è irresistibile: ci sono ostacoli da superare, nel cuore dei singoli e nelle loro relazioni, in quello che è il complicato tessuto del mondo. Una logica misteriosa e stringente “parla” nelle parole di Gesù, che sembrano alludere a un effetto domino, a una reazione a catena vivificante, ma per nulla scontata. Le sue parole sono rassicuranti ed esigenti nello stesso tempo, come sempre. Cerchiamo di seguire lo snodarsi di questa “logica” semplice e nello stesso tempo difficile, come nessun’altra, sì da rendere Gesù instancabile nel comunicare con le sue opere e le sue parole l’azione dello Spirito. Il primo elemento è un’autentica “prova del nove”. Amare Gesù vuol dire osservare il suo “comandamento nuovo”: «Amatevi come io vi ho amato». Chi di noi si sente all’altezza di questa esortazione? Gesù sa bene quanto a noi tutti è difficile amarlo nei fratelli. Per questo e, soprattutto per questo, pregherà il Padre per noi e il Padre ci donerà “lo Spirito della verità”. Lo Spirito, pertanto – e questo è il secondo elemento -  ci aiuterà infatti a osservare il comandamento di Gesù: allora, si sperimenterà l’amore di Gesù e l’amore del Padre contemporaneamente, in quanto il Padre e il Figlio ci amano perché siamo divenuti figlio e fratello. Terzo elemento: lo Spirito ti rende capace di poter amare e nello stesso tempo chi viene amato può trasfonderlo in altri e in ciò che lo circonda.
 
 
Chiediamoci a questo punto: come si realizza il processo conoscitivo alla luce del vangelo? In primo luogo sicuramente attraverso i nostri sensi, che ci permettono di “far entrare” le cose dentro di noi. Noi tocchiamo, assaporiamo, gustiamo, vediamo, ascoltiamo e in tal modo interiorizziamo e “possediamo” la realtà. Eppure, questo non basta, sembra dirci Gesù; anzi, può addirittura portarci fuori strada, perché ciò che appare non è detto che sia. La conoscenza alla quale Gesù si riferisce, soprattutto nelle parole dell’evangelista Giovanni, è la conoscenza profonda, la conoscenza d’intimità, che nella lingua ebraica si traduce con un riferimento diretto all’amore sponsale. Se davvero vogliamo conoscere la realtà, il reale in sé, soprattutto per quanto concerne la condizione umana, dobbiamo “aprirci” all’altro e “sospendere il giudizio”. Solamente “intrattenendo” con le cose e soprattutto con le persone una relazione d’amore, cominceremo a conoscerle per quello che realmente sono. Per conoscere pienamente, bisogna credere, “fare affidamento”, essere prima di tutto aperti all’altro, senza pregiudizi, senza riserve mentali. Diveniamo aperti alla conoscenza solo se amiamo, ossia se siamo recettivi, attenti, non più concentrati su di noi, ma sulla realtà dell’”altro”, altrimenti avremmo solo una conoscenza meramente fenomenica, superficiale delle cose, lontana dall’essenziale. L’essere della realtà si dà a noi solo se amiamo davvero, arriviamo a sentire che ogni cosa, ogni realtà è “sacra”, sostanzialmente indisponibile: è un dono e la devo accogliere per quello che è. Accedo all’altro se lo amo, accedo alla realtà solo se la amo. Il “mondo”, però, non vive secondo la logica dell’amore, ma secondo quella della paura e del possesso, del controllo, del dominio, della “cosificazione”. Il “mondo” fa suo un sistema di potere basato sulla paura di perdere e sulla brama di conquistare, il che avvelena le relazioni ed è incompatibile con l’amore inteso come servizio.
 
La via che mi porta alla vera conoscenza è lo stupore, vale a dire non dare mai nulla per scontato. Lo stupore è tutto nella vita. Lo stupore è quella cosa che ti fa vibrare, che ti fa innamorare, che ti fa vedere in modo diverso le cose, che ti fa incantare di fronte al fascino del nuovo e purtroppo viene ucciso tutte le volte che siamo schiacciati dalla noia e non riusciamo più a dire grazie. L’abitudine è non appassionarsi più a nulla, è non avere più sogni. Altro nemico mortale dello stupore è la fretta: se sei stupito sei anche attento, sai cogliere, sai accogliere. Lo spirito di accoglienza dà all’altro, alla realtà, il tempo di rivelarsi, cosi si escludono la violenza, la prevaricazione e l’ansia di agguantare. Se andiamo di fretta siamo incapaci  di cogliere quello che c’è dentro il cuore altrui, il dramma delle persone, la verità a volte comprensiva anche di tormenti, di contraddizioni vere o apparenti. Una parolaccia di cui troppe volte facciamo uso è “ormai”. Questa rivela scoraggiamento, mancanza di speranza, perchè è un piano inclinato verso la tenebra, verso il fondo di ogni depressione. Ormai “an ghè pu gnent da fer”, si dice qui a Parma nel nostro dialetto. Sulle nostre labbra, invece, dovrebbe risuonare la parola “ancora”, che suona: “Mi attendo anche oggi qualcosa dalla vita”, mi apro al futuro, all’inedito. Allora sì che sta agendo veramente in noi lo “Spirito della verità”, che ci guida a conoscere, a fare esperienza della bellezza presente in ogni incontro, in ogni evento, perfino in quelli apparentemente risultano sgradevoli. Chi ama Gesù non solo è amato da Lui, ma ancor di più viene amato dal Padre, da colui che è l’Origine di tutto, dall’autore di ogni creazione e generazione. Che cosa vuol dire questo? Che con il tuo amore tu trasformi davvero ciò che ti si presenta e soprattutto puoi costruire relazioni degne di questo nome. Grazie al tuo amore, tu puoi trasformare chi hai davanti a te. Colui che “ti appare”, che ti viene incontro, è così trasformato dal tuo amore. Gesù ci ama al punto da farci diventare i suoi “amici”, le persone più care, i fratelli amatissimi. Il Padre ci ama e proprio per questo ci fa diventare figli, i suoi figli diletti, fratelli del Figlio. Dimmi come mi ami e scoprirò chi sono realmente per te. Io divento me stesso grazie al tuo sguardo, al tuo esserci per me. E’ in questa “conoscenza amorosa” il segreto per raggiungere la pienezza della nostra umanità. Saremo pienamente umani nella misura in cui permetteremo al divino amore di affiorare in noi. 
(DON UMBERTO COCCONI)


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