"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 16 settembre 2012

Il Vangelo della domenica. Commento di don Umberto Cocconi.





Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno domenica 16 settembre 2012 alle ore 12,55


Dal Vangelo secondo Marco: Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro:«Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
 
E oggi? Che cosa dice oggi la gente a proposito di Gesù? Se ne parla ancora o è calato il silenzio su di lui? E noi, che dovremmo essere gli innamorati di Gesù, parliamo mai di lui alla gente? E perché il suo messaggio è di così grande attualità, almeno a detta di molti? «Semplicemente perché costituisce una delle più profonde sorgenti dei valori di libertà, uguaglianza, fraternità e laicità del nostro mondo moderno» (Frédèric Lenoir, direttore di “Le Monde des religions”). Del resto, «come si fa a non restare affascinati dalla figura di Gesù Cristo? Si legge il Vangelo e ci si chiede: chi è questo qui? Io resto sconquassato dal Vangelo, basta un rigo delle parabole. Ha una forza spettacolare, viene da alzarsi in piedi sulla sedia. Ti mette nella condizione di fare ognuno la rivoluzione dentro se stesso» (Roberto Benigni). Chi è Gesù, dunque? Un “eversore”, un rivoluzionario del perdono, un “modello”? Il filosofo Remo Bodei, docente all’Università di California, afferma: «Gesù è uno che ha portato la rivoluzione nel mondo attraverso l’amore e il perdono, che crede nella possibilità, per l’uomo, di ricominciare da capo e di rialzarsi dopo una caduta, di rinnovarsi curando le proprie ferite. Gesù ha invitato gli uomini a cambiare vita combattendo la violenza, e passando attraverso la Crocifissione: il Discorso della Montagna, in questo senso, è emblematico e significativo, non solo per i credenti, ma per tutti gli uomini in ricerca ».«Dopo Gesù – scriveva la poetessa Alda Merini – qualcuno ha imparato a guardarsi negli occhi, a porsi delle domande, a vedere che l’altro non era solo una merce». È l’incanto che fa la differenza. Tutti noi abbiamo bisogno di sapere se le cose a cui teniamo di più – persone, idee o convinzioni – hanno un destino.
 
Ma la consapevolezza della fede cristiana viene sempre dopo che noi abbiamo trovato – finalmente incarnati in qualcuno – parola, sguardo, espressione, tali da far dire a noi stessi: «Sento che questa persona tiene a me, che quest’idea vale anche il prezzo di molti sacrifici. Sta qui l’“incanto”, di cui l’espressione massima è la figura di Gesù» (Pierangelo Sequeri). E noi? Siamo all’altezza di questa “fascinazione” e delle responsabilità che la fede cristiana, incarnata in una testimonianza, comporta nella storia? Ci vuole una teologia che non tenti di rendere Gesù simile alla Chiesa, ma che renda la Chiesa simile a Gesù.  Guardiamo Pietro: sembra aver capito tutto di Gesù e alla domanda «Chi sono io per voi?» lui, senza esitazione, risponde: «Tu sei il Cristo». L’apostolo sembra avere intuito il mistero, l’identità del Maestro, ma quando Gesù insegna ai suoi discepoli  come intende essere “il Cristo”, Pietro gli sbarra la strada (comportandosi da “diavolo” e da “divisore”) e scopre che i suoi pensieri sono diametralmente opposti a quelli del suo maestro. Come sottolinea l’evangelista Marco, Gesù, sollecitato dall’atteggiamento di Pietro, decide di parlare apertamente, ai discepoli e alla stessa folla che ovunque lo stringe d’assedio; proclama che nella sua persona, il Messia tanto atteso non è e non potrà mai essere il più potente degli uomini, ma il più umile di tutti, il servo, l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. E’ un insegnamento, questo  di Gesù  “Messia sofferente”, che anche noi, se siamo onesti con noi stessi, facciamo fatica ad accettare perchè è troppo lontano dal nostro modo di pensare e di agire! Quanto ci è familiare e comprensibile la reazione di Pietro ... ! Pietro si era fatto una sua idea riguardo a Gesù e alla sua missione.
 
Gli era inconcepibile che il Cristo dovesse soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi e infine essere ucciso. Che Messia sarebbe se fosse stato davvero così? Più uno sconfitto che un vincitore, non di certo il Signore della storia! Pietro si sente in dovere di redarguirLo e di indicargli un’altra strada; lo prende “in disparte” (neanche fosse lui il maestro, e Gesù il discepolo!) e gli suggerisce un’altra via, senz’altro più facile, piena di successi e di vittorie. Forse – secondo Pietro – il rabbi di Nazaret non aveva ancora capito bene che cosa il mondo si aspettasse da chi veniva detto il “Cristo”.  Invece Gesù mostra una sicurezza categorica e dà una sconvolgente “lezione di stile” di vita, non solo per se stesso, ma anche per ogni potenziale discepolo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Scandalo generale! Ci sarà qualcuno così pazzo da mettersi “alla sequela” di Gesù? O sarà destinato a rimanere solo, per sempre? La storia ci racconta di tanti che hanno iniziato a seguire Gesù, che hanno scelto di perdere la loro vita, ossia non l’hanno tenuta per sé ma l’hanno donata, nel suo nome, per la salvezza del mondo. Pietro, come chiunque di noi farebbe, consiglia a Gesù di pensare a se stesso e di mettere in salvo la propria vita: “come può essere  sicuro che perdendola la ritroverà?”. Sono le stesse parole che gli furono rivolte dagli astanti sotto la croce: «Se tu sei il Cristo, scendi dalla croce, salvati! Dimostra che sei il Messia, il figlio di Dio».
 
Invece, è proprio su quella croce che si compì la salvezza del mondo. «La croce ha veramente trasformato il mondo, ha messo a soqquadro il mondo. In essa si rivela l’amore divino. La croce è una sorta di trappola divina, di stratagemma di Dio, ancora più forte delle astuzie di Satana» (Renè Girard). Il male è vinto con l’amore e il perdono, gratuitamente donati a tutti gli uomini. Come dice l’apostolo Paolo, mentre eravamo ancora peccatori (anzi, proprio allora, proprio per quel motivo!), Cristo è morto per noi. In questo modo, Satana è beffato dalla quella stessa croce con cui gli uomini hanno crocifisso Gesù e proprio nell’evento scandaloso con cui sembrava aver raggiunto il massimo successo  – riuscire a mettere definitivamente l’umanità contro Dio – viene definitivamente sconfitto. Lasciandosi inchiodare alla croce Gesù ha manifestato paradossalmente che dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia. La croce diventa il talamo, “il letto nuziale”, in cui Dio sposa l’umanità. Gesù Cristo con il dono del suo corpo, e di tutta la sua vita, stringe una volta per tutte, in modo definitivo e perfetto, l’alleanza eterna tra l’uomo e il suo creatore: «i due saranno una carne sola».

(DON UMBERTO COCCONI)

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