"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 28 aprile 2013

Il Vangelo della domenica. Gesù e l'amore che vince il tradimento. Commento di don Umberto Cocconi.



 


Pubblicato da Don Umberto Cocconi   il giorno domenica 28 aprile
2013 alle ore  17,20

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (dal vangelo secondo Giovanni).

Non è l’amore la molla della nostra vita? Se c’è un’esperienza che ci affascina è proprio quella, ma quanta sofferenza si cela in essa! Se c’è una cosa, di cui noi tutti ci sentiamo esperti, è proprio l’amore. Eppure quando ne parliamo finiamo, non dico nel panico, ma nella confusione che rasenta il caos. Gesù ha il coraggio o la presunzione, secondo alcuni, di donarci un nuovo modo di comprendere e di vivere l’amore. Chiediamoci innanzitutto: che cosa vuol dire amare? E’ provare un forte sentimento, un’attrazione verso l’altro? E’ qualcosa in cui ci imbattiamo? E’ questione di fortuna? Oppure è una scelta, una promessa, un impegno? Erich Fromm, a questo riguardo, afferma che l’amore è un’arte e, come tutte le arti, richiede sforzo e saggezza. Forse il problema sta proprio qui: dovremmo convincerci che l'amore è davvero un'arte, come lo è la vita. Ciascuno di noi è chiamato a imparare l’arte dell’amare e Gesù ci persuade di questo. Quando nell’episodio della lavanda dei piedi l’evangelista Giovanni racconta che Gesù «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine», non vuole forse sottolineare che non solo li amò anche in quel momento preciso, ma in un crescendo sino al dono di sé? Tutta la vita di Gesù, del resto, non è forse stata spesa per gli altri? L'Amore, di cui Gesù fa l’esegesi, ossia la “spiegazione” e lo svelamento, attraverso tutta la sua esperienza - come leggiamo alla fine del Prologo del vangelo secondo Giovanni -  è prima di tutto un sentimento attivo, non passivo: è conquista, non resa. Amare, per Gesù, è soprattutto “dare”, non ricevere.
 
 Ma che cosa significa “dare”? Il più delle volte si pensa che “dare” significhi cedere qualcosa, essere privati o sacrificare ciò che per noi conta, invece “dare” è la più alta espressione di potenza, di grandezza, di gloria di cui l’uomo può essere capace. Nello stesso atto di “dare”, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere e questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia e di conseguenza, mi sento davvero traboccante di vita e di felicità. Nel libro degli Atti degli apostoli Paolo cita un detto di Gesù, che non compare nei vangeli, in cui si afferma: «C’è più gioia nel dare che nel ricevere», ma noi crediamo davvero che dare dia più gioia che ricevere? Che non è privazione, ma un atto grazie al quale io mi sento realmente vivo? Chiunque dona è ricco:  in questo caso, la sua umanità si identifica con la sua essenza. In ogni autentico dono, la persona dà sempre se stessa, dà una parte della sua vita, ciò che di più vivo ha in sé. Ciò significa che l'amore è una forza che produce amore. «Se amate senza suscitare amore, vale a dire, se il vostro amore non produce amore, se attraverso l'espressione di vita di persona amante voi non diventate una persona amata, allora il vostro amore è impotente, è sfortunato» (Erich Fromm).  A questo proposito chiediamoci, per un attimo: come ha amato Gesù? Quali sono stati i tratti distintivi del suo “essere per”, del suo “essere con”, del suo “essere in”? Prima di tutto in Lui vediamo la premura, l’essere davvero attento ai bisogni di chi incontra.
 
 Questo atteggiamento, questa opzione fondamentale, lo porta a vivere una responsabilità nei confronti del prossimo, che consiste nell’essere pronti e capaci di “rispondere” a lui. Infatti l’amore è rispetto, ossia come dice il termine (da respicere: guardare), è la capacità di vedere una persona così com'è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto, quindi, significa desiderare che l'altro cresca e si sviluppi per quello che è, secondo le sue attitudini. Ma non è possibile rispettare una persona senza conoscerla, senza entrare nel suo intimo e vedere come è veramente. Amo quindi l’altro non per me, ma per lui stesso! Solo l'amore disinteressato è un sentimento maturo e completo. La condizione essenziale per la conquista dell'amore maturo è il superamento del proprio narcisismo e per questo è necessario diventare umili, obiettivi e riflessivi. L'egoista non è altro che un narcisista che ha concentrato, solo su se stesso, ogni capacità d'amore. Ma gli egoisti proprio per questo sono incapa¬ci di amare non solo gli altri, ma anche se stessi. Le parole di Gesù sul comandamento nuovo, quello dell’amore, sono inserite nel contesto dell’ultima cena, nella cena in cui sperimenta il vile tradimento di uno dei suoi amici. Proprio nella notte in cui Gesù viene tradito è il momento in cui egli ama di più i suoi discepoli. Gesù vive questo momento come la notte del dono. Addirittura vive quella notte come un momento di luce e di gloria! Proprio nell’ora dell’abbandono, dell’umiliazione, della solitudine, dell’incomprensione, del fallimento, Gesù raggiunge il culmine della sua gloria e glorifica il Padre.
 
 Ma io non ricevo forse gloria quando gli altri mi approvano, mi manifestano ammirazione perché notano in me delle capacità e delle qualità che apprezzano? Ora Gesù, paradossalmente, osa affermare di essere stato glorificato proprio mentre viene umiliato! Che significa tutto ciò? Come fa ad amare ancor di più i suoi discepoli e il mondo, quando tutti lo abbandonano e lo umiliano? Per Gesù non conta il suo successo, il suo nome, la sua salvezza, la sua immagine: “per lui, quello che conta sei tu”. Lui non ti ama perché te lo meriti, lui ama te più di se stesso. E per te, per la tua salvezza, ci sta a perdere tutto, anche il suo onore. Ci sta ad essere considerato colui che è «disprezzato e reietto dagli uomini, uno davanti al quale ci si copre la faccia». Davvero, come dice il profeta Isaia, «egli si è caricato le nostre sofferenze e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità». La bellezza di Dio, la gratuità dell’amore di Dio si manifesta dove più “ristagna” il nostro peccato e più grande è la nostra miseria. E’ nella notte del nostro peccato che si manifesta la giustizia di Dio, che giustifica! «Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù». Come si manifesta la giustizia di Dio? La salvezza dell’umanità avviene nel “sangue” di Gesù e ciò significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo, dal peso delle colpe, ma «il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta a Dio. Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, che è quella dell’amore, la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare» (Benedetto XVI).
(DON UMBERTO COCCONI)


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