"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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sabato 9 luglio 2016

IL VANGELO DELLA DOMENICA: COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI.


Un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa' questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: "Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno". Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così» (Vangelo di Luca).

Alla domanda del dottore della legge: “chi è il mio prossimo?”, Gesù risponde con una parabola che mette in scena un sacerdote, un levita, un samaritano e un locandiere. Sulla strada da Gerusalemme a Gerico il sacerdote e il levita si imbattono in un uomo moribondo, che i briganti hanno assalito, derubato e abbandonato. «E qui la parabola ci offre un primo insegnamento: non è automatico che chi frequenta la casa di Dio e conosce la sua misericordia sappia amare il prossimo. Non è automatico! Tu puoi conoscere tutta la Bibbia, tu puoi conoscere tutte le rubriche liturgiche, puoi conoscere tutta la teologia, ma dal conoscere non è automatico l’amare» (papa Francesco). Il samaritano, invece, proprio lui l’escluso, lo vede, ne ha compassione e gli si avvicina. Anche gli altri due “vedono”, ma i loro cuori rimangono chiusi nell’indifferenza e freddi nello scartare. Il samaritano è per antonomasia lo straniero per eccellenza, dalla Torah giudaica è considerato egli stesso impuro, nondimeno ha compassione di quell’uomo, fascia le sue ferite, versa olio e vino, lo carica sul giumento e lo porta al pandocheion in greco locanda, ma letteralmente luogo che “tutti accoglie”, lo affida all’albergatore, a colui che è l’”onniaccogliente”, affinchè si prenda cura di lui. 

«Il Samaritano è un uomo ingenuo che si è lasciato prendere dalla pietà, il più rivoluzionario dei sentimenti, perdendo tempo e danaro» (Primo Mazzolari). Perché mai dovremmo prenderci cura di qualcuno che è un perfetto sconosciuto? Perché esporsi al rischio di un incontro destabilizzante, che fa traballare il nostro “io”? Perché è proprio l’incontro con l’altro che «ci fornisce anzitutto una nuova immagine del mondo, di noi stessi, del nostro brancolare in questo nuovo mondo, un mondo mai visto prima perché prima non c’erano gli occhi per vedere. Il nostro vedere dipende sempre dalle nostre ingombranti travi e pagliuzze, che fungono sì da filtro, ma da filtro inventivo e creativo» (Sergio Manghi). Ma chi è il mio prossimo? E’ chi appartiene al mio gruppo, al mio clan, è chi ha bisogno? O è semplicemente l’altro, “il nessuno escluso”? In questo senso il prossimo non è il bisognoso, se non nel senso ampio e generalizzato che ci include tutti allo stesso modo, ma è anzitutto l’altro, lo sconosciuto: me stesso incluso. È chiunque, nessuno escluso! «L’ama il prossimo tuo come te stesso non sarebbe comprensibile, nella sua novità sconcertante, se non all’interno di questa strana logica, dove l’identità di ego non è mai data a priori, indipendentemente dall’incontro con l’alter, ma si costruisce e ricostruisce di continuo, nella vertigine del farsi prossimo, nel processo relazionale e generativo della mimesi. 

Essere non è mai semplicemente essere, ma sempre essere attraverso l’altro» (Sergio Manghi). Alla stessa domanda: "Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?", si potrebbe rispondere citando una canzone di Marco Mengoni, che in forma poetica ci fa comprendere che la compassione è ciò che ci rende veramente umani, tanto da poter cantare: «Credo negli esseri umani/ Credo negli esseri umani/ che hanno coraggio/coraggio di essere umani». Ha il coraggio di essere umano chi si fa prossimo all’uomo della strada, "bastonato e lasciato mezzo morto", perché incappato "nei giudizi della gente" di fronte alla quale se vuoi essere accettato, "Devi mostrarti invincibile, Collezionare trofei". In realtà occorre il coraggio di togliersi le maschere, perché è quando “si piange in silenzio che scopri davvero chi sei”, che si rivela la tua capacità di provare compassione. E puoi dire al tuo vicino: «Prendi la mano e rialzati/ Tu puoi fidarti di me/ Io sono uno qualunque/ Uno dei tanti, uguale a te / Ma che splendore che sei/ Nella tua fragilità».
(DON UMBERTO COCCONI)

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