Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno domenica 29 settembre 2013 alle 17,55
Gesù disse ai farisei: «C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma". Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi". E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"» (Vangelo secondo Luca).
Ai piedi della tavola imbandita di un uomo ricco, che banchetta e gozzoviglia nell’agiatezza, giace per giorni e giorni un povero. Nella totale indifferenza del ricco, il povero non riesce neppure ad afferrare i bocconi che i commensali buttano dal tavolo: pezzetti di pane gettati da chi sta a tavola. Secondo il costume del tempo di Gesù, infatti, si pulivano le mani con gli avanzi del pane che poi veniva buttato via. Come mai quest’uomo così ricco è così indifferente al dramma vissuto dal disgraziato a pochi passi da lui? Non uno sguardo, non una parola, non un gesto di compassione: perché si comporta in questo modo? A volte, sembra che anche Dio rassomigli a questo uomo ricco che non vede e non sente il grido del povero. «”Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza”: sono le parole del mio lamento. Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo», grida il salmista. Ma il giusto, che soffre e vede una simile ingiustizia non corre il rischio di perdere la fede? Davvero Dio non vede e non sente tutto questo? Non lo preoccupa la sorte degli uomini? Ma Dio ascolta il grido del povero? Speriamo non lo ascolti troppo tardi! Non avrà ragione per caso Karl Marx quando afferma: «E’ l’uomo che fa la religione e non è la religione che fa l’uomo. La religione è il sospiro della creatura oppressa, è l'anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigere la felicità reale. La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola». Questa “favola”, che come ogni favola inizia con “c’era una volta”, va riletta mettendo al centro della vicenda l’uomo ricco, innanzitutto, non il povero Lazzaro.
Gesù vuole farci comprendere questa parabola non secondo la vicenda del povero, come farebbe Marx, ma secondo la prospettiva del ricco. E’ il ricco che deve mettersi in discussione. Questo gaudente non ha un nome proprio, come a significare che non sono le ricchezze che danno un’identità o un’importanza al nome, come abitualmente pensiamo. E’ senza nome il ricco perché l’ascoltatore, o il lettore, deve identificarsi con lui e non con il povero, al contrario chiamato per nome Lazzaro, che significa, paradossalmente, colui che è “assistito da Dio”. Tu che ascolti puoi essere più povero di Lazzaro, ma ci sarà sempre qualcuno più povero di te e dunque il vero rischio è quello di ritrovarsi nella “posizione” del ricco che, affetto da un’avidità insaziabile, pone nell’accumulo, nell’avere, la garanzia delle sue sicurezze di vita. Il suo, però, è un grave errore di valutazione e di prospettiva, perché la strada dell’egoismo e dell’attaccamento ai beni materiali lo porterà alla perdizione. Vivere da ricchi rende ciechi, non fa vedere l’altro, anche se è alla porta di casa, e distoglie dalla conoscenza della Parola di Dio, la sola che può orientare nelle scelte, che può aiutare e a non prendere abbagli. La ricerca affannosa della ricchezza e il suo uso sfacciato e gaudente comportano il rischio di chiusura verso gli altri in quanto eliminano la prospettiva del futuro e rinchiudono nel presente. Il ricco, che sulla terra non ha avuto neanche la sensibilità dei cani, che andavano invece “a leccare le piaghe” del povero Lazzaro, dopo la morte non potrà trovarsi “nel seno di Abramo” ed essere nella pienezza della gioia, perché la felicità è possibile solo grazie alla fraternità e alla condivisione. Dopo la morte, e solo allora, vediamo il “cieco” gozzovigliatore” “guardare in alto” e vedere ciò che prima non era riuscito a vedere: la sua effettiva povertà, la sua piccolezza,
il suo cinismo, la sua infelicità. La distanza che inutilmente Lazzaro aveva cercato di accorciare, tentando di accedere alla dimora e alla tavola del ricco, e che questi aveva invece tenacemente mantenuto, si è trasformata in “un grande abisso”. È l’abisso che separa colui che si è chiuso nell’egoismo, da chi, invece, è stato raggiunto dall’amore di Dio. Dio interviene finalmente a compensare l’ingiustizia subita dal povero con la sua giustizia: ma non è forse troppo tardi, almeno dal punto di vista umano? Dio sembra aver perduto sia il ricco, che ora è negli inferi tra i tormenti, sia il povero, che per tutta la vita non ha sentito la presenza di un Dio che lo proteggesse e avesse cura di lui. Come dice appunto Marx, la sua sembra una felicità a caro prezzo, a prezzo della giustizia che non riesce ad affermarsi sulla terra. La domanda che dobbiamo farci, però, onestamente, è questa: il povero ha ingiustamente sofferto a causa dell’indifferenza di Dio o di quella degli uomini? La richiesta, in questo frangente, che il ricco fa a Dio, perché altri non si trovino nella sua stessa condizione, è quella di inviare dall’oltretomba Lazzaro dai suoi cinque fratelli, per metterli in guardia, perché “non finiscano anche loro in quel luogo di tormento". Ma la richiesta viene respinta da Dio Padre con la motivazione che bastano Mosè e i Profeti: è sufficiente ascoltare la parola di Dio per cogliere la verità delle cose. La risposta di Gesù alla richiesta di “segni” da parte dei suoi contemporanei è chiara: chi non crede alla parola della Scrittura, non crederà nemmeno a chi viene dall’aldilà. «Le verità più sublimi non possono essere costrette alla stessa evidenza empirica che, appunto, è propria solo della dimensione materiale» (Joseph Ratzinger). Per restare in tema di fiabe pensiamo al momento in cui mastro Ciliegia sente parlare un pezzo di legno, che poi Geppetto, trasformerà in burattino.
Lui stesso dice: “non ci posso credere”. E non gli passa neppure per la mente che quel pezzo di legno possa diventare un giorno un ragazzino per bene. Come direbbe Giacomo Biffi, nel suo “Contro mastro Ciliegia”, «neanche se un pezzo di legno parlasse, i tanti mastri Ciliegia del nostro tempo penserebbero che quel pezzo di legno è forse più di un pezzo di legno». Si chiede sempre un segno, un miracolo per credere, per convertirsi, per cambiare vita. E non ci si accorge che il Signore ci ha dato non uno ma molti, moltissimi segni: «Ma come, non ti accorgi /di quanto il mondo sia meraviglioso?/Meraviglioso: perfino il tuo dolore potrà guarire, poi./Ma guarda intorno a te/che doni ti hanno fatto: ti hanno inventato il mare!/Tu dici: “non ho niente”/Ti sembra niente il sole/la vita, l'amore?/Meraviglioso il bene di una donna che ama solo te,/meraviglioso!/La luce di un mattino/ l'abbraccio di un amico/il viso di un bambino…/Meraviglioso, meraviglioso!» (Domenico Modugno). Dio parla all’uomo, attraverso la bellezza della vita e con le parole dei profeti e di Mosè, nonché attraverso i profeti di ieri e di oggi. Visioni e apparizioni possono “dare una mano” al credente, ma non sostituire la Parola di Dio, tramandata attraverso la Scrittura, affidata ai testimoni, appello che cerca sempre un orecchio, che ascolti, un cuore che palpiti. Per comunicare con l’uomo, Dio sceglie la via del dialogo: non vuole spaventare il suo partner con visioni macabre o fantasmi, oppure catturarlo con la forza dell’imposizione. La Parola, come ogni parola, chiede sempre fiducia e libertà! Dio si comunica non imponendosi, ma proponendosi; consegnandoci però una parola semplice, nuda e povera che mette in discussione la nostra libertà. Questa Parola è in ultima analisi la carne crocifissa di Gesù, il figlio del carpentiere, morto e risorto per tutti, anche se tante volte qualcuno ha obiettato e obietta tuttora: “non ci posso credere!”.
(DON UMBERTO COCCONI)
1 commento:
Il monito finale della parabola per mezzo di Abramo: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti”. Si è realizzata dopo con il ritorno dai morti di Lazzoro amico di Gesù, anzi non solo in gran parte non gli crederanno, ma per questo condanneranno Gesù a morte, che poi risusciterà... una profezia che si ripresenta nella storia. Un tipico processo ricorsivo, speculare, qui rafforzato dallo stesso nome di Lazzaro per i due protagonisti del vangelo, caratteristico del Vangelo, dell'intelligenza e del genio nella storia. Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.
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