Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno sabato 28 dicembre 2013 alle ore 15,29
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall'Egitto ho chiamato mio figlio». Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno». (Vangelo secondo Matteo)
E’ un dipinto del Caravaggio che ci introduce nel mistero della fuga in Egitto della sacra famiglia, quello intitolato “Riposo durante la fuga in Egitto”. Quest’opera è del 1596 ed è conservata attualmente presso la Galleria Doria Pamphili a Roma. Caravaggio aveva 25 anni quando dipinse questo capolavoro. L’osservatore, guardando il quadro è colpito immediatamente da un’atmosfera di pace e di serenità; le figure sono circondate da un paesaggio autunnale, al riparo di una quercia, nella luce diffusa, ma tenue della sera, in cui sembra che il tempo si sia fermato, tanta la natura si è fatta silenziosa. Da un lato un bambino dorme in braccio alla sua mamma, cullato dalla ninna-nanna suonata da un angelo: dall’altra parte della scena, un uomo ed un asino ascoltano come rapiti questa musica. E’ proprio la figura dell'angelo musicante che divide la scena in due parti: a destra la vita contemplativa con il sonno della Madonna e di Gesù bambino, a sinistra la vita attiva con san Giuseppe. La prima ha alle spalle una vegetazione fiorente e rigogliosa perché abitata dal divino, in cui riposano la Vergine e il Figlio; mentre la seconda, che ospita la santa, ma mortale figura di Giuseppe, col volto segnato dalle rughe, è contrassegnata da un suolo sassoso e dalle foglie secche di un albero, mentre il cielo, dietro di lui, appare buio. Ma ciò che rende “divina” e unica la scena è l’angelo violinista; la sua figura, con un ciuffo ribelle, nonostante sia casta è solo parzialmente coperta da un drappo bianco luminosissimo. Anche le note sullo spartito musicale non sono tracciate in modo casuale, ma seguono una vera partitura: si tratta di un mottetto scritto dal compositore fiammingo Noël Bauldewijn, ispirato ad alcuni versetti del Cantico dei Cantici.
Il testo recita così: «Io dormo, ma il mio cuore veglia», chiaro riferimento al sonno della Madonna e inizia proprio con le parole "Quam pulchra es", in italiano, “Come sei bella”. Nella scena colpisce la grande figura di Giuseppe, raffigurato come un vecchio contadino, con lo sguardo come rapito e incantato e pare assorto nei suoi pensieri. I suoi piedi nudi sono posati l’uno sull’altro e in questa sua posa un po’ goffa ha rinunciato a dormire per vegliare e sorreggere lo spartito musicale, così da permettere all’angelo di suonare e favorire il sonno ristoratore della sua sposa. Giuseppe è proprio il custode, che “non prende sonno ma vigila”, sui suoi tesori, anche se non è un eroe, ma solamente un compagno di viaggio fedele. All’uomo mortale e corruttibile l’angelo incorruttibile comunica, tramite la musica, la promessa della vita eterna. La musica dell’angelo non porta soltanto consolazione, ma una precognizione precisa del futuro, cioè della prossima morte e del passaggio alla perenne beatitudine. Sullo sfondo della scena si intravvede il muso di un asino, che con il suo grande occhio sembra seguire incantato i movimenti armoniosi della mano dell’angelo, mentre fa danzare il suo archetto sulle corde del violino. Dal volto di questo bambino traspare certamente la stanchezza, ma soprattutto la serena fiducia di poter riposare «tranquillo e sereno in braccio a sua madre» (salmo 131). Maria è dipinta come una vera mamma che stringe a sé il proprio bambino e lo coccola. «Ogni mamma che coccola così il suo piccolo addormentato, sembra dire Caravaggio, è santa come la Madonna, nella toccante umanità del suo amore» (I geni dell’Arte, Caravaggio).
La Madonna indossa una veste rossa, con sottoveste bianca e manto blu, ma il blu del manto vira verso il verde, approdando ad un “blu oceano” vicinissimo al “verde bluastro” delle piantine a terra, come a creare una sorta d’ideale continuità fra la Madonna e il terreno. Il bianco dei polsini di Maria trova immediata rispondenza nel bianco del pannolino che copre il bambino. La donna, ormai stanca del viaggio, reclina il capo sopra il figlio e mostra una meravigliosa e folta chioma tendente al rosso, evidenziando chiaramente l’allusione al versetto del Cantico. Il mottetto apre, per la precisione, così: «Le chiome del tuo capo sono come la porpora del re», e ciò rimanda ancora una volta al sangue salvifico versato dal Cristo, da cui la Chiesa ha tratto alimento e garanzia di redenzione. Lo Sposo non andrà identificato con Giuseppe, giacché il “vero” Sposo del Cantico dei Cantici è il Salvatore, è il bambino Gesù. Al suo “Sposo” la Vergine, noto simbolo della Chiesa, è abbracciata, sfinita anche dal grande amore che ha per lui, e per questo motivo è caduta in un sonno profondo, ma sereno. Un ultimo dettaglio: al fianco di Giuseppe vi è un sacco e un grosso fiasco. Questi due elementi sono solo apparentemente decorativi - perché in realtà rappresentano - , per la forte valenza simbolica, l’eucarestia. Nel sacco infatti sta la farina per fare il pane, nel fiasco che contiene il vino, il tappo è fatto addirittura con un foglio dello spartito musicale, sapientemente arrotolato.
(DON UMBERTO COCCONI)
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