Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno sabato 14 dicembre 2013 alle ore 17,36
Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Vangelo secondo Matteo).
Il credente può essere abitato da un dubbio radicale? Pare proprio di sì, dato che lo stesso Giovanni il Battista, l’uomo forte, il coraggioso, il testardo, il profeta di fuoco dubita di Gesù, si interroga su di lui e sulla sua missione e gli chiede con franchezza: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». E’ evidente lo spiazzamento di Giovanni nei confronti di chi lui stesso aveva indicato come “l’inviato di Dio”. Ora, “avendo sentito parlare delle opere del Cristo”, questo messia gli appare troppo diverso rispetto alle sue attese. Il Battista vive l’esperienza del disincanto, e forse non potrebbe essere diversamente: in carcere, luogo, per così dire “privilegiato” per la riflessione e il riesame della vita, le domande gli si affollano nel cuore e nella mente. Gesù è diverso da come se lo era immaginato: è un messia in qualche modo deludente. Del resto, capita spesso che Dio ci deluda, quando tocchiamo con mano che realmente i suoi pensieri non corrispondono ai nostri pensieri, le sue vie non sono le nostre vie. Pensiamo qualche cosa di Lui e ci ritroviamo disorientati, siamo presi in contropiede, per così dire; ci siamo fatti una certa idea di Lui e poi scopriamo che siamo andati fuori strada, che Lui è davvero “il Totalmente Altro”. E’ decisamente un Dio misterioso, il Dio di Gesù Cristo! Da colui al quale “non era neppure degno si sciogliere i sandali”, Giovanni si aspettava forse un po’ più di “mordente”. Sulle rive del Giordano, il Battista aveva parlato della venuta del Messia come l’avvento di un Forte, che lo precedeva per autorità e prossimità a Dio; lo aveva dipinto come colui che avrebbe avuto in mano “il ventilabro per mondare la sua aia”, per raccogliere il frumento nel granaio e bruciare la pula con un fuoco inestinguibile. Invece, nei primi gesti di Gesù il Battista legge un’eccessiva arrendevolezza, un’esagerata umiltà; potrà mai risolvere i nostri problemi un uomo che agisce in questo modo?
Potrà mai instaurare il regno di giustizia che il Dio liberatore ha promesso a Israele? Queste, probabilmente, le considerazioni e le apprensioni che generano il dubbio nel cuore del Battista incarcerato. Ecco allora che Giovanni, determinato come sempre, rompe gli indugi e manda alcuni suoi messaggeri a Gesù per sincerarsi, una volte per tutte, di come stiano realmente le cose. Gesù accoglie la delegazione e risponde rinviando alla Parola di Dio, in particolare alle parole dei profeti, che certamente Giovanni conosceva bene, e che si erano materializzate nei segni prodigiosi, nati dalla parola-azione di Gesù e dalla fede dei piccoli e dei poveri. Questo “feedback”, questo riscontro che Gesù riceve da parte degli amici del Battista, gli fa comprendere che la sua missione non è capita sino in fondo, che intorno a lui ci sono aspettative fuorvianti, che tanti si stanno scandalizzando di lui, dei suoi modi spesso così disinvolti e inconsueti. Penso che sia la stessa reazione che papa Francesco suscita in tanti “benpensanti”; la sua figura, il suo modo di operare, il suo lasciarsi contaminare, il suo accorciare le distanze, non sembrano confacenti al suo ruolo, e molti ne sono rimasti scandalizzati e perplessi. Un papa degno di questo nome non farebbe certo così! Papa Francesco vive però il suo ruolo innanzitutto come servizio per la Chiesa e per il mondo, e lo vive con tutta la sua umanità, con la sua fondamentale mitezza, senza un’affannosa ricerca di consenso o di chissà quale astratta conformità a un modello predeterminato; ha saputo rivoluzionare ciò che si era consolidato da secoli, spiazzando tutti e consegnandoci un profilo di pontificato, che si annuncia tra i più originali della storia, proprio per il suo voler essere “semplicemente umile e povero”.
Ma torniamo alla pagina di Matteo, dove Gesù accusa il colpo, e invece di mostrarsi sdegnato per i tentennamenti del celebre cugino, “rilancia” come solo lui sa fare, tracciando con un linguaggio allusivo, “parabolico”, un ritratto perfetto di Giovanni, della sua grandezza e insieme della sua inadeguatezza rispetto alla novità del Regno. Giovanni non è certo una canna “sbattuta dal vento”, pronta a piegarsi al soffio del più forte, del vincitore di turno: è un uomo tutto di un pezzo, estraneo a qualunque compromesso. Il suo abbigliamento dimesso contribuisce a rivelarne l’identità profetica: è il più grande fra “i nati di donna”, rivestito interamente della parola di Dio, ardente nell’attesa del suo pieno compimento e indifferente alle lusinghe dei potenti. “Voce di uno che grida nel deserto”: voce senza nome, vibrazione del grido lanciato per amplificare la Parola di un Altro. E se tra i nati di donna il Battista è il più grande nel Regno dei cieli, il più piccolo è sempre più grande di lui. Tu, che sei rinato dall’acqua e dallo Spirito, tu che vivi già nel Regno inaugurato dal Risorto, tu che ti fai piccolo se ti pieghi nel servizio ai fratelli, che sei povero se confidi in Dio, più che in te stesso: ecco, proprio tu puoi diventare più grande di Giovanni il Battezzatore! Le strategie del potere, l’insidia del male, l’impegno senza compromessi da parte di non pochi “profeti” dei nostri giorni sono i motivi dominanti di “La mafia uccide solo d’estate”, film dedicato alle stragi mafiose che sconvolsero la Sicilia tra gli anni ’70 e ’90, rievocate attraverso gli occhi di un bambino. Filo conduttore è l’amore di Arturo per Flora, un amore nato sui banchi di scuola.
Le date salienti dell'esistenza di Arturo sono tristemente raddoppiate dai “grandi eventi” e dalle esecuzioni di Cosa nostra. Arturo cresce accorgendosi che, intorno a lui, anche la città è sempre più stanca di ristagnare nel proprio dormiveglia, dove tutto è muto, sordo e cieco, dove ci si vuol davvero convincere che la mafia uccida “solo d’estate”. Grazie allo sguardo di Arturo, ridiamo e piangiamo sulla meschina ignoranza di mafiosi, omertosi, uomini ossequianti e tristemente “svenduti”. Il film mostra come la scoperta del male e la maturazione della coscienza individuale non procedano in parallelo: ci vuole un dolore forte per riconoscere il male. In una delle ultime scene del film, Arturo afferma: “Diventato padre ho capito due cose: la prima è che avrei dovuto proteggere mio figlio dalla malvagità, la seconda è che avrei dovuto insegnargli a distinguerla”. Coloro che hanno servito lo stato “non sono superuomini – ha commentato Anna Chinnici, figlia del giudice vittima della mafia - ma proprio per questo sono eroi; altrimenti, sarebbe stato facile misurare il loro coraggio in maniera direttamente proporzionale alla loro umanità”. Cesare Terranova, Gaetano Costa, Giovanni Falcone, Mario Francese, Boris Giuliano, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici, e tanti altri, sono i piccoli-grandi del vangelo, che hanno saputo donare la vita perché il futuro appartenesse a uomini finalmente “compiuti”, liberi, pieni di vera dignità, nella coscienza del bene comune, pertanto cittadini del Regno.
(DON UMBERTO COCCONI)
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