Pubblicato da Don
Umberto Cocconi
il giorno domenica 9 dicembre 2012 alle ore 15,15
il giorno domenica 9 dicembre 2012 alle ore 15,15
Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (Dal Vangelo secondo Luca)
In un tempo preciso, in uno spazio determinato, avviene l’incontro della Parola di Dio con la storia dell’uomo. La Parola diventa vita, diventa chiamata anche per me e per te. Nel tuo mondo, nella tua storia, nelle coordinate geografiche del tuo tempo, la Parola “avviene”, ti interpella e ti mette in crisi. La Parola in te è come un fuoco divorante, non ti lascia in pace, proprio perché è fonte di comunione autentica e di verità sulla vita dell’uomo. Non ti permette di essere sedentario, la Parola: ti mette sempre in movimento. Ti rende annunciatore di un nuovo inizio per la storia dell’umanità. La Parola che sei chiamato ad annunciare è una parola di “conversione”, di cambiamento, di un nuovo inizio per la vita di chi era perduto o di chi si era smarrito. Ci sarà anche oggi qualcuno che veramente si lascerà toccare dalla Parola di Dio, si lascerà incendiare da lei. E per lei diventerà stolto agli occhi del mondo, dei suoi amici, e considererà spazzatura ciò che ha al confronto di quella Parola che è come “miele e balsamo di vita”. Il mondo, la tua città ha bisogno della Parola che ti sottrae alla solitudine, che ti fa comprendere il mistero, la bellezza della tua vita e nel contempo illumina il volto di Dio.
Giovanni il Battista si sente chiamato a preparare la strada che permette l’incontro con “Colui che viene”. Il compito della Chiesa, della comunità credente è simile a quello del Battista: prepara la strada per l’incontro con il Signore. Ma che cosa bisogna fare per “raddrizzare” i sentieri? Che senso dare alla metafora della strada, affinché possiamo darci da fare per “riempire burroni ”, “abbassare monti e colli”, raddrizzare vie “tortuose da far diventare diritte” o ancor di più far sì che le strade impervie siano spianate”? Nel cerimoniale scout, quanto il ragazzo, non più ragazzo, prende “la Partenza”, il capo clan consegna la forcola (bastone biforcuto) al rover o alla scolta che “parte”, con l’invito a saper scegliere sempre la via del bene e della rettitudine; quando gli (o le) consegna l’accetta, perché possa aprirsi il cammino tra le difficoltà che inevitabilmente incontrerà, si riferisce non tanto alla strada fisica, fatta di sassi e di polvere, di salite e discese, tra boschi o lande desolate, quanto piuttosto alla strada della vita lungo la quale il rover o la scolta si stanno incamminando, sempre più autonomi e responsabili delle loro azioni. La strada è da molti punti di vista una metafora della vita; la strada di cui parliamo è la strada che “entra dai piedi”, che si percorre con calma e fatica, che richiede tempo e silenzio, che prepara l’incontro con gli altri in un’attesa talvolta ansiosa, talvolta imbarazzata. È soprattutto la strada dell’incontro con noi stessi, che ci fa misurare i nostri limiti e le nostre possibilità, il nostro coraggio e la nostra viltà, la nostra capacità di aprirci agli altri e donarci e la nostra tentazione di chiuderci sui nostri problemi, sui nostri interessi, senza guardare il mondo che ci circonda con la simpatia e la generosità che sarebbero necessarie.
È anche la strada dell’incontro con il creato, con la natura, con Dio creatore e con Gesù nostro compagno di cammino. Sulla strada incontriamo persone inattese, diverse fra loro e da noi, amichevoli e generose, oppure aride e ostili, e con loro ci confrontiamo in una “esperienza di umanità” che ci arricchisce e ci rende più umili.
“The Hunt”, “La caccia” – questo il titolo originale del film che da noi invece è intitolato “Il sospetto” – descrive bene quello che è il nucleo tematico della storia, ovvero il processo di graduale isolamento, prima, e di progressiva intimidazione, psicologica e fisica poi, nei confronti di qualcuno la cui colpevolezza non è mai stata comprovata. E’ “la storia di una moderna caccia alle streghe”. Basta la piccola bugia innocente, estorta a una bambina con troppa immaginazione, per scatenare una vera e propria caccia all'uomo. Lucas, il protagonista, vive in un paesino di campagna. Gli amici non gli mancano – battute di caccia al cervo, bevute, risate – ma qualcosa gli taglia la strada: basta una bugia, che ha le gambe corte della piccola Klara, ed ecco che su di lui si abbatte una vera e propria lapidazione. Proprio mentre si prepara il Natale, l’accusa contro Lucas si propaga, con la rapidità e la violenza del fulmine, travolgendo decennali rapporti d’amicizia e nuovi amori – e la caccia ha inizio, avvolgendo in un'atmosfera di gelida sofferenza interiore i diversi personaggi.
Le scene di caccia, disseminate per tutta la pellicola, fanno da parallelo alle vicende di Lucas, a sua volta braccato come un animale. Il finale del film, illusoriamente calmo e pacifico, mostra che nei boschi incantati e incontaminati della Danimarca, splendidamente catturati da una brillante fotografia, e tra i falsi sorrisi e i segni di affetto di chi ci sta attorno, si annida davvero ancora qualcosa di marcio: il cuore dell'uomo. Quante volte il sospetto ci abita dentro e ci corrode, portandoci a vedere cose che non esistono, e così ci perdiamo il più grande spettacolo: la possibilità di vedere «la salvezza di Dio». Se la verità è lenta a manifestarsi, le bugie invece volano, e altrettanto rapidamente possono rovinare la vita di chi ne è vittima. Proprio nel caso di Lucas possiamo vedere la Parola di Dio “posata” su di lui: paradossalmente, egli continua a credere alla bontà umana, nonostante agli occhi dei suoi amici e della collettività abbia perduto lo stato di innocenza e il suo diritto di cittadinanza. Lucas si riprenderà con dignità e coraggio ciò che è suo: l’onore, da vero uomo di giustizia. Il nodo del racconto è dunque il dramma della perdita dell’innocenza, della bellezza, e della coesione comunitaria, in un mondo dove basta un semplice sospetto per colpevolizzare l’altro. Non è un problema che riguarda solo il nostro Occidente, comunque: il mondo intero è sempre in preda alla paura e al tarlo del sospetto. Nel film, questa realtà è rappresentata in modo esemplare: all’inizio, gli amici si tuffano in un lago, emblema di una ritualità tribale, di una comune appartenenza; ma poi quel lago si ghiaccia e la tribù si spacca, proprio quando il villaggio inizia a sospettare e a perseguitare l’innocente.
(DON UMBERTO COCCONI)
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