Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno domenica 4 novembre 2012 alle ore 13,11
Dal Vangelo secondo Marco. Si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Qual è il primo comandamento da vivere? E’ la domanda che uno scriba, un conoscitore e studioso della Parola di Dio, pose un giorno a Gesù. La risposta del maestro di Nazaret fu (ed è ancora): “Ascolta”. “Shemà Israel”, “Ascolta Israele” è la preghiera che l’ebreo credente recita con ardente fiducia ogni giorno. Ma è un’indicazione sempre valida anche per noi, oggi: la cosa più importante è ascoltare l’Altro, gli altri, senza dimenticare di ascoltare se stessi. Il fatto di avere due orecchie dovrebbe ricordarci la nostra capacità di ascoltare in modo complesso e completo, la possibilità di sintonizzarci sulle lunghezze d’onda degli altri. Più ascolti, più diventi pienamente umano. Anche la sapienza antica, non cristiana, ci dice quanto sia fondamentale l’ascolto. Molti, sottolinea Plutarco, si «esercitano nell'arte di dire, prima di essersi impratichiti in quella di ascoltare ... Se è vero che chi gioca a palla impara contemporaneamente a lanciarla e riceverla, nell'uso della parola, invece, il saperla accogliere bene precede il pronunciarla, allo stesso modo in cui concepimento e gravidanza vengono prima del parto». Il primo comandamento, dunque, non è ama ma ASCOLTA.
Chi ama, prima di tutto, si mette in ascolto e diventa “ricettivo” nei confronti di quello che l’altro è con le sue qualità, i suoi desideri, le sue necessità. Ascoltare è voce del verbo amare e, chi si mette a disposizione degli altri, si sottomette perfino al loro volere. La prima cosa che devi fare, dunque, se vuoi amare è quella di ascoltare. Ascoltare e obbedire, del resto, hanno la stessa radice per cui l’ascolto obbediente della Parola, con tutto il tuo essere, è l’unico vero modo di amarla. Fa quello che ti dice la Parola, vivila fino in fondo: essa ti renderà libero! Il primo comandamento, quindi, è “ascolta” nel senso di “accogli in te”! Accogli nella tua realtà, nella tua vita, nella tua esistenza questa Parola, questo volto che la grazia di Dio ti pone accanto. Sempre il saggio Plutarco afferma, a questo riguardo, che la maggior parte delle persone, «quando bacia teneramente i propri piccoli, ne prende le orecchie tra le mani e li invita a fare altrettanto, con scherzosa allusione al fatto che essi devono amare soprattutto chi fa loro del bene attraverso le orecchie». Non solo con il cuore, ma anche con l’anima (anche “con la vita”, è possibile tradurre anche così), con tutta la mente e la forza si è chiamati ad amare “il Signore”, colui che ti ha liberato dalla schiavitù d’Egitto, che ti ha fatto passare illeso il Mar Rosso e ti ha portato su ali d’aquila, verso la terra dove scorre latte e miele.
Tutto ciò che sei deve essere totalmente rivolto a Lui. Con la pienezza del tuo esistere sei chiamato ad amarLo, proprio perché Lui per primo ti ha amato, riscattandoti dalla tua condizione servile. Che cosa significa però amare Dio con tutta l’anima? L’anima è il soffio vitale, dove sta racchiuso il nucleo della vita, ossia con la verità di te stesso, la pienezza del tuo vivere, la profondità del tuo essere. Per dire amore viene usata la parola greca agàpe: è l’amore cristiano che si differenzia dall’amore mondano (eros), perché è essenzialmente dono, mentre l’amore-eros è una richiesta “afferrante”. L’amore-agape è discesa di Dio verso l’uomo mentre l’amore-eros è conquista, possesso, puro godimento. Non siamo nella logica del dono, del concedersi, del darsi, del donarsi. Amare è uscire da se stessi, portarsi verso il mondo dell’altro. L’amore non “consuma”, ma “realizza” i rapporti. Nello “Shemà Israel”, poi, il verbo è coniugato al futuro: amerai, quasi fosse una conseguenza, più che un comando. Come a dire: “Tu ascolta, ascolta davvero, con la disponibilità e la gratitudine del figlio che ho liberato dalla schiavitù. E poi vedrai, amerai con tutto te stesso e non potrai fare diversamente” !.
Ma l’uso del futuro esprime soprattutto una tensione, un essere rivolti costantemente oltre se stessi e oltre i limiti dell’oggi. L’uso del futuro presuppone una meta da raggiungere, una conquista che si realizzerà domani, andrà compiendosi giorno dopo giorno. E’ una tensione volta verso la profondità, non un appiattimento sul presente. La relazione con Dio e il prossimo va costruita e ricostruita ogni giorno, non può mai essere data per scontata. Cosa vuol dire poi «amerai il prossimo tuo come te stesso»? A questo riguardo viene da chiederci: come sappiamo amare noi stessi visto che il prossimo lo amiamo così poco? Amarsi è il contrario dell’essere centrati esclusivamente su se stessi, sul proprio ego, innamorati della propria immagine in modo narcisistico. Per il filosofo Martin Buber, il prossimo è colui che di fatto ti è dato di incontrare e con cui instauri una vera relazione di aiuto, ma perché sia possibile questo amore è necessario purificarsi interiormente. Soltanto così ci si può aprire verso l’altro. L’atto del dare non equivale come molti pensano a un cedere o un privarsi o tantomeno al sacrificarsi: «è in realtà la più alta espressione di potenza e di libertà dell’uomo. Nello stesso atto del dare io provo la mia forza e il mio potere su me stesso e sulla realtà.
E questa percezione di vitalità mi riempie di gioia. Quindi c’è veramente più gioia nel dare che nel ricevere, non perché è una privazione o un sacrificio, ma perché in quell’atto mi sento vivo, sono me stesso. Infatti chi dà in realtà non dà cose ma sé stesso. E anche nelle cose da sé stesso. Chi ama dà la propria gioia, il proprio interesse, il proprio umorismo, magari la propria tristezza, comunque manifestazioni di ciò che è vitale in lui» (E. Fromm). Al maestro della legge, e a noi, Gesù dice: «Non sei lontano dal Regno di Dio», ossia non sei a grande distanza dal regno dell’amore-agape: fallo sbocciare dentro di te e intorno a te. Per entrarvi, ricorda che non basta conoscere la verità, ma bisogna agire, bisogna mettersi in viaggio verso il volto “parlante” dell’altro.
(DON UMBERTO COCCONI)
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