Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno domenica 30 giugno 2013 alle ore 7,31
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù indurì il volto e si mise in cammino verso Gerusalemme … Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». (Vangelo secondo Luca)
“Indurire il volto” sta a significare che Gesù ha preso una decisione. La sua vita non è segnata né dai “se” né dai “ma”: sa “buttarsi” in un progetto, senza scoraggiamento nè paure che riescano a fermarlo. Questo suo camminare, davanti a tutti, con determinazione deve aver sorpreso non solo i discepoli, timorosi e indecisi, ma anche i tanti sconosciuti che affollavano la strada verso Gerusalemme. Questi tre personaggi che Gesù incontra simboleggiano le tre dipendenze che solitamente abitano nel cuore dell’uomo: le sicurezze affettive, la cultura, il passato. Il primo personaggio prende l’iniziativa: è lui che si propone a Gesù. Nella sua richiesta c’è entusiasmo: «Ti seguirò dovunque tu andrai». Però Gesù è colui che va incontro alla croce e la sua vita sarà, dall’inizio alla fine, tutto un “patire”. Chi di noi potrebbe scegliere volontariamente una vita del genere? Questo tale sembra aver capito tutto, cioè che la vita è seguire ciò che si ama. Tuttavia, l’aspirante discepolo non sa cosa sta chiedendo: seguire Gesù significa, prima di tutto, consegnare se stessi, la propria vita, nelle mani di qualcuno di cui ti fidi, con tutto ciò che ne consegue. Gesù gela il sacro fuoco di questa persona così entusiasta, rispondendogli che seguire Lui vuol dire non avere un nido, una tana, un giaciglio su cui si possa posare il capo. Gli sta dicendo che venirgli dietro significa “avere una vita spericolata, fatta di guai … dove non è mai tardi”(Vasco Rossi); non essere, quindi, più centrati su se stessi, ma essere, in qualche modo, “gettati” fuori da sé. Non avere più sicurezze, non avere più protezioni, essere liberi dalle logiche della dipendenza affettiva, rompere ogni cordone ombelicale, uscire realmente dal seno materno, qui rappresentato dalla “tana” e dal “nido”. Siamo tutti alla ricerca di una stabilità, in questo caso affettiva, ma per seguire Gesù, per camminare verso la libertà, bisogna essere disposti a lanciarsi, a giocare fino in fondo la propria vita, senza stare né in panchina, né in difesa, ma porsi all’attacco. Il secondo personaggio, invece, è chiamato direttamente da Gesù a seguirlo. Chissà che cosa avrà visto, il Maestro, nei suoi occhi; senz’altro dei desideri, o almeno la voglia di non stare ai margini della strada, ai margini della vita. Ma Gesù lo spiazza perché gli dice che seguire Lui vuol dire prendere le distanze dal mondo paterno e perciò andare, quindi, non solo contro il buonsenso, ma anche contro la legge mosaica, che obbligava al rispetto dei propri genitori.
Questo secondo personaggio chiede che cosa sia giusto o meglio doveroso fare: prima seppellire il padre o seguire Gesù? La legge lo vincola. Egli sa ciò che vuole e ciò che deve fare. Prima di tutto questo tale si sente in dovere di adempiere il comandamento della legge, poi seguire Gesù. Un chiaro comandamento della legge si frappone quindi fra il chiamato e Gesù, ma la chiamata di Gesù indica rigorosamente che in nessun caso si deve frapporre “qualcosa” fra Gesù e “il chiamato”, fosse anche la cosa più grande e sacra, fosse anche la legge. È assolutamente necessario, per amore di Gesù, che proprio ora la legge, che doveva essere rispettata venisse trasgredita. Ma l’espressione «lascia che i morti seppelliscano i loro morti» non è esagerata? Come si fa a non essere presenti al momento del commiato dal proprio padre? Gesù sta davvero chiedendo al suo interlocutore di rompere un legame così fondamentale? E perché? Se andiamo in profondità, scopriremo che il padre non è solo il padre, ma rappresenta la “cultura d’origine”. Ciascuno di noi non solo nasce nel grembo materno che lo lega affettivamente, ma si struttura poi anche in un mondo simbolico, in una cultura che riceve dalla propria patria, dalla propria terra, dal proprio padre. Quindi seguire Gesù significa riconoscere il potere condizionante della propria cultura, del proprio modo di pensare, ed essere, pertanto, disposti ad aprirsi alla novità di pensiero e di azione che il Figlio dell’uomo dona: il Regno di Dio. Il terzo personaggio sembra disposto a seguire Gesù, ma pone delle condizioni. In lui convivono le mille contraddizioni che non gli permetteranno di fare un passo decisivo verso il futuro. Questi è un uomo dominato o soggiogato dal proprio passato; vuole seguire Gesù, ma al tempo stesso vuole dettare le condizioni del suo impegno. Si mette a disposizione del Maestro, lo vuole seguire, ma nell'attimo stesso in cui lo dice, non vuole più farlo. Non è capace di compiere un esodo verso il futuro: il suo sguardo è rivolto non davanti a sé, ma ancora dietro sé, nella memoria del suo passato. Ora, la chiamata alla sequela di Gesù fa del discepolo un “singolo”: «Che lo voglia o no, deve decidersi, e deve farlo da solo. Non è una scelta propria, quella di voler essere un singolo, ma è Cristo che rende tale colui che chiama. Ognuno è chiamato da solo. Da solo deve seguire [Gesù]. Ma chi è chiamato in quest'ora non trova riparo né nel padre, né nella madre, né nella moglie né nei figli, né nel popolo, né nella storia. Cristo vuol mettere l'uomo nella condizione di solitudine, perché questi deve poter vedere soltanto colui che l'ha chiamato» (Bonhoeffer).
Il film “Passioni e desideri” è tratto dal libro Girotondo dello scrittore Arthur Schnitzler. La vicenda è un'amara critica all'impossibilità umana di amare, o meglio alle difficoltà che un amore puro implica per realizzarsi: l'aridità colpisce tutti inevitabilmente, come la morte. Ciascun personaggio è posto di fronte al bivio delle scelte che potrebbe cambiare il corso della propria esistenza, sia in bene che in male. Il regista Meirelles ambienta le vicende, di questi amanti, fra treni, aeroporti affollati, autostrade e strade, da Vienna, a Bratislava, a Parigi, a Londra, agli Stati Uniti, che permettono a tante persone di incontrarsi. Sono interessanti, oltre le connessioni spaziali, anche quelle culturali che le persone stabiliscono, nello svolgersi di questo “girotondo”, e – come dice una di esse – “le cose proibite dalle loro religioni”. Ad ogni personaggio sarà chiesto di avere coraggio cioè di compiere delle scelte per soddisfare, come dice il titolo italiano, “passioni e desideri”, oppure compiere scelte di autenticità e di verità. Ad ognuno dei protagonisti delle vicende è dato quel momento eroico, quella possibilità inaspettata, in cui finalmente potrebbero spezzarsi la routine, il ciclo delle eterne insoddisfazioni, per realizzare un nuovo inizio esistenziale. Vivere un’esistenza autentica, significa compiere determinati passi verso la libertà. Ma posso sentirmi libero quando sono dominato dai miei sentimenti, dalle mie emozioni, dalle circostanze, quando non sono capace di vivere una piena maturità affettiva? Potrò mai essere libero se mi lascio condizionare dalle mode, dalla cultura del mio tempo? Potrò mai essere libero se continuamente sono ripiegato sul mio passato, rimugino il tempo perduto e per questo non sono capace di “volare” verso il futuro? Il tuo volto quando mai si indurirà? Quando mai prenderò una decisione che saprà rivoluzionare l’oggi in cui vivo?
(DON UMBERTO COCCONI)
Nessun commento:
Posta un commento