Pubblicato da Don Umberto Cocconi sabato 22 marzo 2014 alle ore 22,15
Gesù giunse ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?» (Vangelo secondo Giovanni).
E’ questo l’incipit di uno dei dialoghi più sconvolgenti e significativi di tutto il vangelo. Quale maestro della legge avrebbe mai “attaccato” discorso con una donna, per di più appartenente a una fazione “eretica” e disprezzata? Nessuno! Era proibito, era oltremodo sconveniente, inutile e dannoso. Gli stessi discepoli di Gesù si meravigliano e si chiedono, senza pronunciarsi apertamente: «Perché mai perde tanto tempo a parlare con lei?». Chi è questa donna? O meglio, chi rappresenta? I protagonisti del vangelo di Giovanni sono personaggi storici, “particolari”, ma anche “universali”: in loro qualsiasi persona potrebbe sentirsi raffigurata. La samaritana, pertanto, è colei che, a dispetto di tutto, anche dei propri sbagli è alla ricerca della felicità, come tutti quanti noi. E’ abitata da una nostalgia di pienezza, di autenticità, da una sete di relazioni vere. Questa donna ferita dalla vita, eppure ancora disposta a innamorarsi, è alla ricerca di un Tu, da adorare (splendido rafforzativo del verbo “orare”), che significa per eccellenza “portare alla bocca”. Torna alla mente la sposa del Cantico dei Cantici e il suo grido: “Mi baci con i baci della sua bocca!”. Solo chi è innamorato, può comprendere le parole della samaritana. Occorre un vero incontro, un progressivo “entrare in intimità”, per riuscire a vedere nel volto dell’altro ciò, che di primo acchito, non era stato possibile cogliere. E’ come quando una macchina da presa, avvicinandosi a un primo piano, ci aiuta a scoprire tutte le possibili sfaccettature, tutte le espressioni e gli aspetti dell’unico volto ripreso. Così avverrà nell’incontro tra la donna di Samaria e l’uomo stanco, seduto sul bordo del pozzo. Questa è appunto la prima immagine che la donna “fotografa” del personaggio: un uomo stanco, provato dal caldo e dal cammino, probabilmente un forestiero, uno sconosciuto per nulla autorevole e che non sembra certamente un’icona della potenza virile.
Appena comincia a parlare, la donna ne riconosce immediatamente la provenienza: è un “giudeo”, quindi un nemico; uno che appartiene a quel popolo, da sempre in contesa, per tanti motivi, con i Giudei. Infatti, i Giudei si consideravano speciali: i puri, i perfetti, i primi della classe, mentre gli abitanti della Samaria rappresentavano la feccia della società, gli eretici e i contaminati, quelli che si erano separati e sporcati, “meticciandosi” con i pagani. Ora, questo maschio giudeo si è rivolto alla donna più che con una richiesta, con un ordine: “Dammi da bere”. “Chi sarà mai? Che cosa vuole? Dove vuole andare a parare, quest’uomo dai tratti indisponenti?” - avrà pensato la samaritana?. “Dammi da bere” è una frase ambigua, che potrebbe prestarsi a tante letture, non ultima quella erotica. Tutto questo avviene al pozzo, il luogo per eccellenza dei corteggiamenti, dei preludi amorosi tra un uomo e una donna, come si legge nel libro della Genesi. La donna respinge con determinazione la richiesta o meglio la pretesa del viandante misterioso, ma nonostante ciò, il dialogo non si interrompe, anzi si intesse di preziosi equivoci. Lo strano giudeo, che le legge nel cuore, le risponde: “non hai ancora capito chi hai davanti e quale dono potrei farti, se tu volessi: l’acqua viva, che estingue la sete per sempre!”. La donna risponde con insistente “realismo”: non hai nulla per attingere l’acqua e il pozzo è profondo, «da dove hai dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». “Chi ti credi di essere?” pensa in quel momento. Però le parole di Lui: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete», la colpiscono assai profondamente. Come in un “flash back” cinematografico, la donna rivede tutte le vicende della propria vita e l’andare a quel pozzo le ricorda i tanti amori avuti, tutti insoddisfacenti… I suoi “ba’al” (una parola che vuol dire “dio, idolo” ma anche “marito”) non sono altro che il segno, sempre inadeguato, della sua voglia di sentirsi compresa, accettata, veramente amata.
Ed ecco che le parti s’invertono: ora è lei a chiedere: «Dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui, ad attingere acqua». La donna sembra aver compreso che ha di fronte una persona non comune che non la giudica, anzi l’aiuta a leggere dentro se stessa e a capire qual è la sua vera sete. Intuisce, dal suo modo di parlare, che quell’uomo è un profeta perché sa vedere con gli occhi di Dio. «I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare», rilancia l’interlocutrice, per cui dà il via ad una disputa teologica di alto spessore. La samaritana, la lontana, è la prima a conoscere che il Padre è in cerca di veri adoratori, in spirito e verità. Questa affermazione costituisce la premessa di un vero rapporto d’amore, pieno e autentico tra Dio e l’uomo: non più amori verso gli idoli, sempre insoddisfacenti e fallaci, ma una vera “adorazione”, il “bocca a bocca” con il Dio liberatore. La donna, ormai, non ironizza più ed è arrivata al “punto” della questione: la sua attesa, che è l’attesa di tutto Israele, sia del più fedele come del più infedele, per cui osa ancora domandare «so che deve venire il messia: quando egli verrà ci insegnerà ogni cosa».
Quell’uomo che lei ha di fronte, sorprendendola ancora una volta, le dice: «Io Sono». Gli occhi della donna si illuminano perché riesce a vedere davanti a sé lo Sposo dell’umanità: l’Atteso, l’Amato. Per questo, lasciata a terra l’inutile brocca, lei stessa corre a dire a tutti gli abitanti di Sicar: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto» - che mi ha messo di fronte a me stessa e ha fatto emergere ciò che avevo nel più profondo di me: la mia insoddisfazione, la mia sete d’infinito”. Così ha iniziato a sgorgare la “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” e proprio per questo corre da tutti per donarla, per condividerla. Come Giovanni il Battista, anche la samaritana porta a Gesù “il suo mondo”, perché ogni persona possa incontrarsi personalmente con Lui. «Quando i samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”». La Chiesa non dovrebbe, come ha fatto Gesù, sedersi accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo, per renderli partecipi della presenza del Signore nella loro vita e permettere infine di incontrarlo, per estinguere quella sete infinita che è nel cuore dell’uomo?
(DON UMBERTO COCCONI)
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