"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 16 marzo 2014

Il Vangelo della domenica. Commento di don Umberto Cocconi.



Pubblicato da Don Umberto Cocconi  domenica 16 marzo 2014   alle ore  7,07

Dopo sei giorni Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
«Sei giorni dopo»: non è casuale, questa indicazione di tempo. Sei giorni prima, Gesù aveva predetto ai discepoli la sua passione e la sua resurrezione. «Da allora Gesù cominciò a dire chiaramente ai suoi discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto a causa degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi; poi egli doveva essere messo a morte, ma il terzo giorno sarebbe risorto». Immaginiamoci la paura, l’incredulità, il rifiuto dei discepoli davanti a una simile prospettiva. Erano quindi passati sei giorni da quell’annuncio così sconvolgente: ora siamo nel settimo giorno, il giorno di Dio, della sua presenza gloriosa. Gesù è deciso: infatti, “prende con sé”, trascina quasi i suoi amici, i primi che lo avevano seguito e li conduce su un monte, luogo biblico per eccellenza delle grandi “teofanie”, ossia delle manifestazioni di Dio. Ecco che i tre discepoli prediletti passano da una forte emozione a un’altra, da un’affermazione sconcertante di Gesù a un suo gesto inatteso, equivalente a una dichiarazione di fiducia e di amicizia del tutto speciale. L’espressione «li prese con sé», infatti, rimanda a una relazione di intimità, quasi sponsale. Non per nulla, sono le parole che due sposi si dicono nel giorno del matrimonio: “Io prendo te”, ti faccio mio/mia. In quel frangente Pietro, Giacomo e Giovanni vivranno l’esperienza di un incontro unico con Gesù, personalissimo e sconvolgente, perchè Gesù svelerà a loro chi egli sia veramente.


E’ sempre difficile parlare di sé, comunicare i propri segreti, le proprie follie, dal momento che spesso ti senti sempre giudicato, non compreso, non capito, per la paura di essere frainteso. Si è veramente amici allorquando ci si confida dei segreti. E Gesù corre il rischio di confidarsi, in modo profondo, con i suoi discepoli, proprio perché li considera veri amici; conosce il loro turbamento, lo comprende, ma si fida ugualmente di loro. Gesù confida a Pietro, Giacomo e Giovanni chi è veramente Colui che andrà a Gerusalemme, per essere messo a morte. Sul monte Tabor, così, i discepoli hanno modo di contemplare in tutto il suo splendore l’amato da Dio, Colui che il Padre ha chiamato “Figlio mio”, in cui ha posto il Suo compiacimento, dal giorno del battesimo al fiume Giordano. Infatti c’è sempre stato nel cuore dell’uomo il desiderio di vedere il volto di Dio: «Quando vedrò il suo volto?» è proprio il grido del salmista! Davanti agli amici della prima ora, Gesù “fu trasfigurato”, ossia la sua figura cambia, ha assunto un aspetto diverso da quello normale e consueto; la stessa espressione indica che Gesù “viene cambiato” da un Tu, col quale intrattiene una relazione unica e assoluta, che rende sfolgorante di luce persino il suo volto. Il momento della trasfigurazione è un evento d’amore che trasforma nel profondo la sua esistenza: nel momento della più dolorosa consapevolezza del proprio destino, Gesù sperimenta di essere amato, come figlio dal Padre.

E noi? Quante volte ci guardiamo allo specchio e abbiamo sempre “la solita faccia”. Perché? Non basta il trucco, a trasfigurarci davvero! E gli altri, cosa vedono di noi? Forse non hanno mai visto il nostro “altro” volto, il nostro volto migliore. Eppure… a ognuno di noi, anche a te, con le tue parole, con i tuoi gesti d’amore e di tenerezza, è dato il potere di “trasfigurare” il volto delle persone che hai accanto e far sì che il loro lamento si trasformi in danza, sì da deporre l’abito del lutto e indossare l’abito della gioia. Quando ami trasfiguri tutto intorno a te, inizia così la vera la resurrezione del mondo. Lasciati amare dal Padre, diventa figlio e pure tu sarai trasfigurato… e a tua volta potrai trasfigurare gli altri. Gesù testimonia come l’autentica trasfigurazione sia ben diversa dai nostri poveri “restyling”, ma questa sia in realtà un dono che ci viene elargito perché sia accolto. Ti viene concesso, infatti, quando “sali su un alto monte”, quando compi una vera “ascesi”, quando non ti lasci contaminare dalle brutture del mondo, ma esci dalla folla e vivi l’esperienza dell’intimità, dello stare “a tu per tu” con Colui dal quale siamo amati. Se ti metti alla presenza di Dio, sei trasfigurato, sei veramente te stesso, vivi la tua unicità: “sei davvero una bellezza”! Lo sguardo dell’uomo, il più delle volte, è ripiegato su sé stesso, attratto da ciò che lo rende schiavo, perché non ha trovato un volto che lo guardi e lo ami: “attraverso lo sguardo, io conosco chi sono per te”. Il volto dell’altro guardandomi, mi strappa alla mia solitudine, mi fa essere vivo, unico, mi fa uscire dal mio mondo. E’ un’esperienza incomparabile quella di poter ammirare i volti di due fidanzati. Sono pieni di luce, di serenità, splendenti di una bellezza divina, proprio perché vivono l’esperienza del sentirsi amati. Due fidanzati, Chiara e Luigi, che io ho recentemente incontrato al Campus Universitario mi hanno raccontato come il loro reciproco amore li stia trasfigurando.

La stessa Chiara riporta: «Forse il cambiamento più significativo che Luigi ha suscitato in me è lasciarmi essere me stessa, specialmente nel rapporto con lui. Potrebbe sembrare scontato, ma spesso ho dovuto cercare con gli altri di essere un “io” che assomigliasse il più possibile a chi poteva compiacerlo. Ora mi sento libera di essere come sono, nel bene e nel male e a volte mi sorprendo quando inconsapevolmente mi lascio andare con lui con modi di essere, che solo pochi intimi, come i miei genitori o mia sorella, conoscono... Un altro aspetto importante in cui mi sento cambiata è nel dare valore alle cose della vita: meno rilevanza alle cose superflue e più alle cose essenziali... che poi non sono "cose"!». Ecco il pensiero di Luigi: «Mi sento trasfigurato. E come mi accorgo di esserlo? Cosa significa trasfigurarsi?: rivelare la propria essenza, ciò che siamo davvero! Chiara mi ha trasfigurato le prime volte allorchè che ci siamo conosciuti veramente, durante un viaggio, quando sono riuscito a fare e a dire “alla luce del sole” quello che prima non riuscivo, ovvero ad aprirmi e a rivelare le emozioni che provavo (e tuttora provo!) per lei... Mi trasfigura perché sento che adesso riesco a tirare fuori un’energia vitale nuova, grazie alla quale riusciamo a stare bene insieme, per ridere, per divertirci, per incoraggiarci a vicenda. Lontano, "sull'alto monte”, da soli, in vacanza, è più facile lasciarci andare e “rivelarci” a noi stessi, con le parole e coi gesti della tenerezza. In questi momenti così magici vorrei anch’io costruire una capanna, per fermarci lì, per fermare quel tempo insieme. Al contrario mi “sfiguro” quando discutiamo e io resto “basito” perché non so cosa dire, cosa fare, come stare... Ma il mio volto ritorna a brillare quando sento che la “nube litigiosa” è passata e sono ritornato di nuovo sereno e sicuro. Ecco, mi sento pienamente “me stesso” quando sento la sua "accettazione" positiva per quello che sono, per tutta la sua comprensione nei miei confronti!».
(DON UMBERTO COCCONI)


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