Pubblicato da Don Umberto Cocconi domenica 25 gennaio 2013 alle ore 19,31
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore … e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Siamo nel tempio di Gerusalemme, in un giorno come tanti, con una famiglia come tante, anzi una famiglia povera e insignificante, che non ha altro da offrire in sacrificio, per la presentazione del primogenito al Tempio, se non una coppia di colombe. Come avranno fatto il vecchio Simeone e la profetessa Anna a intuire che quel bambino, un bambino come tanti, era la luce, la gloria, la speranza per Israele? Da molto tempo Simeone attendeva questo momento, senza scoraggiarsi, instancabile, tanta era la speranza di poterlo vedere; chissà quante volte si era recato al tempio e chissà quante volte, infinite volte, sarà ritornato a casa deluso. Anche Anna, nonostante fosse ormai avanzata negli anni, non aveva ancora rinunciato a sperare. Entrambi erano divenuti ormai molto vecchi, però il loro sguardo, sempre vigile e attento, aveva conservato una straordinaria “giovinezza”: sapevano ancora desiderare, sperare, attendere il nuovo, il grande cambiamento. Chissà quante famiglie avranno visto giungere al tempio e chissà quante volte avranno pensato, vedendo un bambino, che veniva portato per essere offerto al Signore: “Sarà lui, quello che attendiamo?”. Quali segni avrebbe dovuto avere quel bambino, per essere riconoscibile come il fanciullo “speciale”? Questa lunga attesa deve averli preparati a discernere il vero progetto di Dio. Infatti, Dio non sceglie nel mondo ciò che è grande, ma ciò che è piccolo: «Dio non guarda ciò che guardano gli uomini: gli uomini guardano all’apparenza, Dio, invece, guarda il cuore». I due vegliardi, grazie all’azione dello Spirito Santo, hanno saputo guardare con gli occhi del cuore, non con quelli dell’intelligenza o delle proprie categorie mentali di uomini religiosi e donne religiose.
«L’essenziale è invisibile agli occhi, non si vede bene che con il cuore» dirà il Piccolo Principe alla volpe. Così deve essere stato lo sguardo di Simeone e Anna, uno sguardo partito dal cuore e plasmato dallo Spirito. Per questo sono stati in grado di riconoscere, nell’umiltà dei genitori, la presenza di Dio, perché quella famiglia così normale, così insignificante, lasciava trasparire un amore particolarmente grande. Chissà quali premure mostrava Giuseppe per la sua sposa e per il suo bambino la cui origine fu così misteriosa! Quella tenerezza, quella delicatezza, quella cura nel custodire il dono ricevuto, devono aver fatto sobbalzare Simeone ed Anna, che all’improvviso hanno capito: quella coppia, e nessun’altra, era la casa in cui era nato il messia! Lo sguardo negli occhi di Maria deve aver colpito profondamente Simeone, che forse vi ha visto l’amore speciale di una madre, già velato di sofferenza, come nel presentimento che quel figlio, un giorno, le sarebbe stato strappato: un figlio non solamente suo, ma destinato a farsi dono per tutti. Chissà quante volte anche noi abbiamo preso tra le braccia un bambino e abbiamo visto in lui il futuro, il concretizzarsi di una storia nuova, inedita, forse insperata. Avere tra le braccia colui che potrebbe “fare nuove tutte le cose”, aprire orizzonti nuovi oltre il già visto e il già sentito, non ci ha riempito di gioia indicibile? Ma la cosa più straordinaria è che anche noi, da piccoli, siamo stati presi in braccio da chi per noi era sconosciuto: chissà che cosa avranno detto di noi? Di certo non lo ricordiamo: però qualcuno ci ha abbracciati e guardandoci negli occhi ha visto qualche cosa di grande per noi. Ha saputo vedere in noi il compiersi di una speranza. Suggestiva è la definizione che di Gesù ha dato lo scrittore Giovanni Papini: «il più grande Rovesciatore, il supremo Paradossista, il Capovolgitore radicale e senza paura».
E di te che cosa si dice? Di te che cosa hanno detto di così provocatorio quelle persone che un giorno, all’inizio della tua vita, ti hanno preso in braccio? Non a caso l’anziana profetessa Anna, proveniva da una delle tribù meno nominate nella bibbia, Aser che significa “felice”, ma non è una vecchia loquace e pettegola perché loda Dio e parlava di quel Bambino, dopo averlo visto, a tutti quelli che attendevano la liberazione di Gerusalemme. Che modo gradevole di passare dall’orazione all’apostolato, di comunicarsi, comunicando la grande notizia. Anna è la prima donna “evangelista”, una portatrice di buone notizie. Alle donne che sono “giovani da più tempo” resta quindi ancora qualche cosa da dire o da fare! Al termine della nostra vita che cosa ci piacerebbe aver visto? Il vecchio Simeone prendendo tra le braccia Gesù esclama: “ora lascia che il tuo servo vada in pace perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza”. I suoi occhi hanno visto il compiersi delle promesse di Dio, per questo ora Simeone sa che è giunto il momento di “congedarsi”. Secondo i testi biblici “congedare” significa “concedere la libertà” e così, anche Simeone, vedendo il messia è divenuto libero: non ha più paura di morire. Non è quello di Simeone un addio da figlio del crepuscolo, ma un saluto festoso, da profeta dell’alba messianica, che sta per schiudersi, con l’arrivo di quel bambino che egli stringe, per un momento, tra le sue braccia.
(DON UMBERTO COCCONI)
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