Pubblicato da Don Umberto Cocconi domenica 9 febbraio 2014 alle ore 7,31
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (dal vangelo secondo Matteo).
Che bello ricevere dei complimenti! Per una volta ti senti speciale agli occhi degli altri, sempre così esigenti! Spesso però c’è una voce dentro di te che suggerisce: “Qui, gatta ci cova”, o peggio ancora: “Quando il diavolo ti accarezza, vuole l’anima”. Capita proprio così, ci sentiamo presi tra due reazioni: o non crediamo nel nostro valore, oppure sospettiamo che l’altro voglia approfittarsi di noi. Pensa che cosa potrebbe accadere se ti facessero un super-complimento, una “esagerazione” esponenziale, come è successo ai discepoli, protagonisti nel Vangelo di oggi, quando hanno udito le parole di Gesù? Chissà lo sbigottimento di questi poveri pescatori, che davanti a queste definizioni altissime si saranno sentiti, probabilmente, ancora più mediocri... Forse, un’espressione come “luce di Cafarnao” sarebbe risultata più accettabile, ma “luce del mondo, sale della terra” proprio no. Avranno pensato: “Questo maestro si sta prendendo gioco di noi!”. Proviamo però ad ascoltare bene la “tonalità” dell’affermazione: «Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo», probabilmente accompagnate dal gesto della mano o da un giro dello sguardo, per indicare “tu, proprio tu, e tu, e tu”. Quel “voi siete” di Gesù suona come un imperativo, risulta un’affermazione autorevole e ricorda ai discepoli che cosa sono chiamati ad essere. E’ bellissimo e terribilmente impegnativo pensare che queste parole siano rivolte anche a noi! C’è qualcuno che ti ricorda l’essenza autentica della tua identità, che t’impone di riconoscere ciò che sei realmente, qual è il tuo vero valore. Non sei uno schifo, sei “bellezza”: e tu lo hai dimenticato! Eppure, quando sei stato creato a immagine e somiglianza di Dio, sei diventato luce, perché Dio è Luce. Tu sei luce e sei sale, sapore, sapienza! Che contrasto con quello che sento di essere, tante volte, quando mi sento tenebra, quando mi sento “insipido”… Quando mai diventerò luce, quando diventerò “sapore”? Sono luce tutte le volte che porto la speranza, perché sono in grado di portare nella notte l’alba di un nuovo inizio; sono luce tutte le volte che riscaldo col mio esserci qualcun’altro e non lo faccio sentire solo; sono luce perché aiuto l’altro a “crescere”, fino a prendermi cura di lui.
Sono sale tutte le volte che so dare un significato alle cose, agli eventi; sono sale tutte le volte che so conservare ciò che sarebbe altrimenti corruttibile; sono sale tutte le volte che sono sapiente, ma non furbo o scaltro o arrivista. Troppe volte, quando, facciamo il bene, siamo autoreferenziali: attraverso i nostri gesti, vorremmo che si parlasse di noi. Anche attraverso le nostre opere buone si compie, spesso, la nostra volontà di autoesaltazione in quanto l’attenzione è sempre rivolta a noi stessi. Invece Gesù ci dà un criterio certo per capire se le nostre opere sono buone davvero: gli altri, vedendole, renderanno gloria al Padre che è nei cieli. Se oggi tante persone non credono più in Dio, è perché le nostre “opere buone” esaltano soltanto noi e men che meno parlano di Lui. Attraverso lo “splendore” delle nostre opere buone, le persone dovrebbero giungere a intravedere Dio, perché Dio è Luce d’amore, e noi, attraverso le opere buone, riveliamo qualcosa del suo mistero. Faccio un esempio: posso fare un complimento a Walter perché è bravo, perché ha fatto opere buone, perché in lui risplende la luce. Ma non dico tutto, perché dovrei riconoscere che la grandezza di Walter sta, molto probabilmente, nei suoi genitori, che si sono presi cura di lui. Se Walter è in gamba è perché nei suoi gesti si intravvede l’amore dei suoi genitori. C’è prima di tutto all’origine l’amore di un padre e di una madre che ha reso Walter un figlio speciale. Non posso “gasarmi” o stimarmi o lusingarmi, se qualcuno dice che Umberto è bravo. Sì, dentro di me mi sento importante, al settimo cielo, però in questo modo qualcuno che dice di volermi bene, potrebbe tentarmi e stimolare la mia vanità. Vuol dire che con i miei gesti non sto parlando di Dio, del Padre mio che è nei cieli, ma solo di me stesso.
Quello che importa è che non si parli di me, ma di ciò che conta davvero: cioè che si parli di Lui, del Padre che è nei cieli! Gesù, con queste parole “incomprensibili” secondo la logica umana, ci vuol far comprendere che una persona è un re tutte le volte che diventa figlio e racconta quel Padre che è in lei. Le parole di Gesù «Chi vede me, vede il padre» si possono ben applicare a questo nostro discorso. Se chi vede me vede solo me, vuol dire che non sono capace di far vedere attraverso di me il mio essere figlio. Quindi, se ancora una volta ti diranno “sei bravo”, interrogati: forse non lo sei realmente, perché sei sempre tu al centro di tutto e alla fin fine quello che conta è la tua gloria personale. Se invece, guardando te, qualcuno loderà Dio, sarai veramente divino e non più semplicemente umano.
“Belle & Sébastien” è un film tutto centrato sulla bellezza, sulla purezza, sull’incanto e sullo stupore che può esserci nel profondo del cuore umano, come si vede nella bellezza fantastica della natura, con i suoi colori, la sua forza e la sua maestosità. E’ la montagna la vera protagonista di quest’avventura che pure noi, seduti sulle nostre comode poltrone, potremmo vivere e gustare. Grazie a “Belle & Sébastien” ci sentiremo parte viva del mondo della natura, con i suoi prati, i ruscelli, le rocce, gli animali delle alte montagne, il vento, i fili d’erba piegati dall’aria, la neve, i paesaggi mozzafiato del Rhône-Alpes. Siamo nel 1943, in piena seconda guerra mondiale. Sugli alti crinali delle montagne sembra aggirarsi una misteriosa “bestia” che ammazza le pecore. Come direbbe René Girard, questo “mostro” feroce è il perfetto capro espiatorio, su cui riversare la responsabilità delle misteriose uccisioni di bestiame.
Un piccolo gruppo di uomini e di donne sperduti tra le vallate diventa una comunità di amici, capace di vivere non solo la solidarietà all’interno del proprio gruppo, ma anche verso chi è straniero. Diventeranno così amici il piccolo orfano Sebastien e il grande cane, una femmina di pastore dei Pirenei, che abita nei boschi vicino al paese e che lui chiamerà Belle, difendendola da chi la ritiene una bestia selvatica e “inaddomesticabile”, a cominciare da César, il “nonno” con cui è cresciuto. La storia di amicizia tra il bambino e il cane s’intreccia con quella dei partigiani, che aiutano le persone a fuggire dai nazisti attraverso le montagne, verso la neutrale Svizzera. Il regista Vanier legge in parallelo l’uomo e l’animale e lo fa senza forzature: in entrambe le “specie” individua il Male. Gli animali possono essere feroci, ma diversamente da loro, l’uomo può tradire e ferire i suoi simili. Il regista ci insegna a riconoscere questo male sempre in agguato e ci mette in guardia da false paure e pregiudizi. Sullo sfondo della vicenda s’intrecciano grandi temi, come la responsabilità morale contrapposta al legalismo, il rispetto della sacralità della natura e la ricerca della verità, sotto le sembianze di uomini e di cose. Essere luce del mondo non è un fatto sdolcinato, è una lotta contro le tenebre, che avvolgono anche in pieno giorno la vita, fatta di pregiudizi, di paure, di giudizi facili, che sottendono la presunzione di poter conoscere l’altro e definirlo, anziché accostarsi a lui “con timore e tremore”, come a qualcosa di sacro, cioè d’incomprensibile ed inesprimibile. Il volto di Sébastien, la sua purezza, la sua autenticità, la fiducia che sa dare alla vita, sono come una luce che illumina e trasfigura, di una bellezza divina, le storie dei diversi personaggi. “Quale bellezza salverà il mondo”, si chiedeva un famoso scrittore? E’ la bellezza che splende nel volto di un bambino.
(DON UMBERTO COCCONI)
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