Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno domenica 21 luglio 2013 alle ore 15,29
Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». (Vangelo secondo Luca)
Due donne, Marta e Maria, accolgono Gesù: chi nella casa, chi nell’intimità ma verso questo illustre ospite i loro atteggiamenti sono completamenti diversi. Di fronte a Gesù le due sorelle, infatti, entrano in conflitto, perché ambedue vogliono servirlo. Marta è presa da diversi servizi per Gesù, invece Maria rimane “accovacciata” ai piedi del Signore (Kyrios) e ascolta la sua parola. Ha un atteggiamento simile ai giudei quando studiavano la Torah seduti attorno al loro rabbino, per ascoltare e imparare i suoi insegnamenti. Maria quindi come un discepolo, ascolta le parole del Maestro e la conserva nel suo cuore. Ma non ha forse delle ragioni Marta per rimproverare la sorella? In effetti se il lavoro è condiviso, non diventa più leggero e finisce prima? Se Marta è distratta è colpa di Maria che l’ha lasciata sola nelle sue incombenze. Marta è assorbita, tutta presa, affannata dal servizio e ha come unico obiettivo fare le cose per bene e presto (in termini aziendali si potrebbe parlare di aumentare l’efficienza e la produttività). Dall’altra parte c’è, invece, Maria unicamente presa dall’ascolto di Gesù, con un obiettivo diverso da quello di Marta: desidera accrescere il suo rapporto interpersonale di amicizia con il Maestro. Non vogliamo di certo estremizzare, ma il binomio “Marta-Maria” potrebbe oggi diventare simmetricamente il simbolo, da una parte del lavoro, dell’affanno, del rumore, dello stress, delle mille cose da fare, tutte importanti e necessarie, secondo il nostro punto di vista; l’altro al contrario riguarda la famiglia, l’amicizia, l’amore, il silenzio, la perdita del tempo, l’ozio. In Marta e Maria si contrappongono due mondi e due modi di vita, che in realtà dovrebbero armoniosamente coniugarsi per permettere alla persona di vivere e crescere.
Marta rappresenta “le tante cose importanti che facciamo per metterci in mostra”, per essere i primi, sempre in concorrenza con gli altri per dimostrare che noi valiamo, che non abbiamo tempo da perdere, con l’obiettivo preminente, se non esclusivo, della massimizzazione del profitto e della produttività. Di qui le caratteristiche di una vita, di un lavoro che ci assorbe sempre più, che sconvolge il “tempo”, il tempo della vita, del passato, del futuro, del “sempre”, quale dono più prezioso della nostra esistenza. Se oggi abbiamo un lavoro esso ci assorbe così tanto che perdiamo di vista ciò che è importante, e rischiamo di perdere gli anni migliori anni della nostra vita. Sempre più, nelle aziende con i nuovi ritmi lavorativi, sono violati quegli spazi, che prima erano dedicati esclusivamente alla famiglia e ai rapporti personali. Pensate al lavoro che si dilata anche nelle ore serali o notturne, nei giorni festivi o durante le ferie, complice spesso la tecnologia , che “ruba” sicuramente tempo prezioso alla famiglia e ai rapporti sociali. La cultura dominante non aiuta infatti a trovare la giusta mediazione, portata com’è a ribadire l’importanza di quei valori in auge nella nostra società, quali il successo sociale, il potere, la ricchezza materiale. In una parola si tende sempre più ad affermare l’importanza dell’”avere”, in contrapposizione a altri valori inerenti all’essere, quali il rispetto della persona umana, la famiglia, l’amicizia, il donarsi agli altri: quello che viene simboleggiato da Maria. Visto sotto questa luce l’episodio di Marta e Maria non è illuminante? Gesù con le parole: “Maria ha scelto la parte migliore” condanna il nostro essere affaccendati, il nostro essere divisi in mille cose, in diecimila occupazioni.
Si è come assorbiti, presi in un vortice di impegni tali, da sottomettere la nostra vita agli idoli del successo, dell’avere, dell’apparire. La “parte migliore” - il primato - deve essere indirizzato al rapporto personale, all’ambito familiare e infine all’amicizia. Una cosa sola è necessaria - afferma Gesù - rivolgendosi a Marta: cercare il Regno di Dio. E per trovarlo bisogna lasciare spazio a Dio, così come ha fatto Maria. Essa ha lasciato tutto e si è seduta ai piedi di Gesù per ascoltarlo. Come afferma Sant’Agostino tu sei occupata in molte faccende, mentre Maria lo è in una sola. “Alla molteplicità è superiore l'unità, poiché non è l'unità che deriva dalla molteplicità, ma la molteplicità dall'unità”. Maria è una donna libera, in quanto nessuno ha scelto per lei: l’iniziativa è stata tutta sua. Gesù non dice a Marta di continuare il lavoro, e nemmeno dice a Maria di continuare a stare seduta ai suoi piedi, ma pone l’accento sul valore che ha l’ascolto personale della Parola per ambedue le sorelle. Gesù non condanna Marta, ma le ricorda il rischio di vivere in una continua dispersione. Sant’Agostino commentando l’episodio evangelico di Marta e Maria afferma che “L'una si affaticava, l'altra si riposava; quella dava da mangiare, questa invece si saziava; Maria infatti era assorta nella dolcezza della parola del Signore.
Marta era intenta a ben nutrire il Signore, Maria invece era attenta ad essere ben nutrita dal Signore”. Se da una parte Marta è invitata a superare la sua angoscia per il lavoro e a sedersi accanto a Gesù per ascoltarlo, Maria, dopo aver ascoltato la sua parola, dovrà alzarsi per mettere in pratica la parola, prestando il servizio ai fratelli più piccoli. Perché mai dobbiamo sempre separare Marta da Maria, l’azione dalla contemplazione, la diaconia dalla parola? Tutti noi, uomini e donne, siamo un pò tanto Marta e troppo poco Maria, attivi, tantissimo, contemplativi pochissimo, così poco ascoltatori della Parola. Come afferma Tonino Bello dobbiamo essere dei “contempl-attivi”, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell'azione. La fede viene consumata “nel perimetro delle nostre chiese e lì dentro siamo anche bravi, ma poi non ci alziamo da tavola, rimaniamo seduti lì. Ci piace il linguaggio delle pantofole, delle vestaglie, del caminetto e presi da tutto ciò non affrontiamo il pericolo della strada. Bisogna uscire nella strada in modo o nell'altro”. Dobbiamo pertanto alzarci da tavola perché il Signore Gesù ci invita ad uscire dal nostro nido e dalla nostra tana, da quell'intimismo, ovattato, dove le percussioni dei mondo giungono attutite dai muri delle nostre case, dove non penetra “l'ordine del giorno che il mondo ci impone”.
(DON UMBERTO COCCONI)
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