"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 25 gennaio 2015

IL VANGELO DELLA DOMENICA: COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI.


IL VANGELO DI DOMENICA 25 GENNAIO 2015

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui. (Vangelo secondo Marco).

Che cosa avrà mai spinto Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni a mettersi al seguito dell’Uomo che passava quel giorno lungo le rive del lago, mentre erano intenti alle loro attività? Avevano lasciato i loro affetti e le loro sicurezze, il loro mondo materno, e anche quello paterno, rappresentato da Zebedeo. Che cosa avrà reso possibile questo loro “lasciare tutto”? Li avrà o no attraversati il dubbio di compiere una pazzia perché stavano proprio giocandosi tutto?! Chissà se le cose sono andate letteralmente così, come Marco ci racconta, oppure se questo è un racconto che porta in sé una verità, su ciò che la chiamata di Gesù comportava e richiedeva: un distacco da tutto e da tutti, seguito dalla la scelta di seguire lui solo e nessun altro. Un racconto soprattutto simbolico, dunque, una parabola sulla sequela di Gesù. Eppure, l’evangelista ci descrive un Gesù che si muove, che prende l’iniziativa, che passa, che guarda, che parla a uomini reali con una loro storia. Non possiamo pensare che questa pagina di Vangelo non abbia anche un fondamento concreto e visualizzabile. La scena si svolge lungo il lago di Genezaret, detto anche Tiberiade o “mare di Galilea”. Sulla riva, e nelle vicinanze, ci sono vari gruppi di pescatori: chi sta per gettare le reti, probabilmente non al largo, chi è intento a ripararle e riordinarle, seduto nella barca, forse tirata in secco o ancorata vicino alla costa. Tutto sembra “normale” e il giorno è uno come tanti altri. Eppure, proprio in questo scenario tranquillo, si scatenerà una tempesta, non sul lago, ma nei cuori dei “chiamati”: nuova navigazione in vista, per loro, nuova pesca e nuovi approdi! Che cosa avrà mai visto quel rabbì, mentre passava lungo la riva del lago? Che cosa avrà letto nei loro occhi? Il testo dice proprio “Passando”, per descrivere così un’azione colta nella sua durata indefinita. 

Gesù continua a camminare (continua ancora oggi!), prende tempo, osserva, si fa vicino ai pescatori, poi richiama la loro attenzione. Prima di guardare verso l’uomo sulla riva, i quattro amici sono stati guardati e visti da lui nel loro mondo, durante una giornata di pesca. Quell’uomo vede nel profondo, sa leggere i loro volti, le loro speranze, il loro desiderio di futuro, di vita, di cose grandi da realizzare. Giovanni il Battista, appena incarcerato e destinato alla morte, ha perso definitivamente la sua libertà personale e la possibilità di battezzare, di chiamare a conversione tutti quelli che incontrava. E proprio allora, Gesù inizia, con decisione, la sua opera di liberatore, cominciando a chiamare i discepoli, nelle strade di Galilea. Quando chiamerà i pescatori, loro lo guarderanno, si volgeranno verso di Lui, vedranno il suo volto, che forse esprimeva un’insolita autorevolezza; sentiranno la sua voce, una voce sicuramente diversa da ogni altra, che li invita a seguirlo. Loro per primi sperimentano cosa vuol dire essere “pescati” da Gesù, liberati dai tanti legami che tenevano ancorata e imbrigliata al palo la loro vita. Cosa può significare infatti la misteriosa espressione: “Vi farò diventare pescatori di uomini»? E’ un paradosso perché pescare un pesce significa “tirarlo fuori” dal suo habitat naturale, per dargli la morte; pescare gli uomini, al contrario, significa tirarli fuori da un’acqua che è simbolo del male e della morte, onde poterli salvare e dare così loro la vita. Gesù sta dunque proponendo di seguirlo, per comunicare la vita a tutta l’umanità! L’appello alla sequela di Gesù annuncia la liberazione dell’uomo da prescrizioni e leggi umane che lo soffocano, per sottoporlo invece al “giogo soave” del Figlio di Dio.


 Certo, mettersi alla sua sequela significa fare determinati passi, che creano stacchi, producono cambiamenti decisivi e irreversibili. Già il primo passo, che segue la chiamata, separa chi si pone alla sequela di Gesù, dalla sua precedente esistenza. E’ questa la prima novità e il primo effetto: la permanenza nella vecchia situazione e l’accettazione dell’invito di Gesù “seguimi” si escludono a vicenda. L’acqua, comunque, nel suo significato simbolico, rappresenta anche l’inconscio, o meglio ancora l’indistinto. Per noi, potrebbe essere l’insidioso “acquario” nel quale siamo immersi senza saperlo. La chiamata di Gesù ci fa uscire dall’acquario di tutti i nostri limiti, di tutti i vincoli che ci rendono meno liberi e meno “noi stessi”. Potrebbe essere il gruppo al quale apparteniamo, il partito nel quale militiamo, oppure tutte quelle realtà omologanti che rendono il nostro io conforme ad agli altri “io”. Quando ci inseriamo nella grande onda della collettività, della “movida”, del flusso di particelle in movimento, il nostro “io” perde la sua singolarità. Questa è l’acqua che ci sommerge: l’uomo che vuol vivere la sua vita dovrebbe cercare di distaccarsi dalle tendenze di massa e cercare di pensare con la propria testa. «Allora essere pescatori di uomini non vuol dire gettate l’amo e poi pescare, ma è emergere da quest’onda di soffocamento che ci minaccia tutti, raggiungere la perfezione della nostra personalità, della nostra individualità e aiutare anche gli altri ad emergere. Il termine del cammino cristiano è l’essere figli di Dio. E Figlio di Dio è colui che ha detto: Io Sono. Dobbiamo essere uomini che sanno dire come Cristo: “Io sono”. Allora emergeremo dall’onda e aiuteremo gli altri a emergere dall’onda» (Giovanni Vannucci). Anche Dietrich Bonhoeffer scrive: «La chiamata di Gesù alla sequela fa del discepolo un singolo». Un singolo, certo, non un isolato: un soggetto vero e proprio, piuttosto, un soggetto libero, capace di relazioni nuove, liberanti e autentiche.

(DON UMBERTO COCCONI)

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