Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno sabato 23 novembre 2013 alle ore 17,05
Dopo che ebbero crocifisso Gesù, il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto». Anche i soldati lo derisero, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c'era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Vangelo secondo Luca).
Siamo sul Golgota, che per l’evangelista Luca è divenuto il centro del mondo, il luogo in cui davvero si compie la missione di Gesù. Il figlio dell’uomo non è venuto a cercare e a salvare chi era perduto? Possiamo dire che tutta l’umanità è stata attratta dalla croce: “quando sarò elevato da terra attirerò tutto a me”, leggiamo nel vangelo di Giovanni. Ci sono quindi, intorno alla croce, i capi, le autorità religiose e politiche, i soldati, i malfattori, c’è poi il popolo che, nota l’evangelista Luca, «stava a vedere». Non è però uno stare a vedere per curiosità, ma per capire, per comprendere più a fondo la storia di quell’uomo appeso alla croce, abbandonato da tutti e schernito da tutti. Chi è costui, veramente, si sta chiedendo la folla? Essa “stava a vedere”: il verbo è all’imperfetto, indica un’azione che dura nel tempo. La folla quindi meditava, è come se stesse prendendo tempo per emettere un giudizio. Se scorreremo i versetti seguenti “vedremo” che cosa farà la folla, come se ne ritornerà a casa, dopo aver «contemplato lo spettacolo della croce». Vediamo in sequenze successive come i diversi personaggi sotto la croce se la prendono con “colui che è appeso al legno”. I capi “deridevano Gesù”: il loro, come sottolinea il verbo all’imperfetto, è un atteggiamento che si prolunga nel tempo, non è istantaneo. “Deridere” è il massimo dell’incomprensione: vuol dire che quello che fai non solo non è compreso dagli altri (in questo caso, il dubbio o la critica sarebbero comprensibili), ma significa che ai loro occhi “colui che è stato crocifisso” non merita niente. Leggendo attentamente, inoltre, scopriamo che le parole che rivolgono contro Gesù non sono tanto indirizzate a Lui ma prima di tutto alla folla, la folla che aveva creduto in Lui, che si era lasciata conquistare da Lui e fatta abbindolare dalle sue pretese.
Essi sembrano dire: “Voi che ingenuamente avete posto fiducia in Lui, vedete che fine ha fatto? È un personaggio da burla, di fronte al quale ci scappa da ridere, tanto è ridicolo, tanto le sue pretese sono illusorie”. Il loro compito è quello di spegnere la speranza. Tutto ritorna come prima. Tutto è finito. «Anzi – sembrano dire - peggio per voi che, nonostante le nostre indicazioni autorevoli, lo avete scelto e vi siete lasciati sedurre dalla sua parola o dai suoi miracoli. Ci si può mai fidare di uno che non è capace neppure di salvare se stesso? Se ha salvato gli altri è stato per imbrogliarvi, per farvi credere di essere qualcuno, ma è tutta un’impostura, e voi siete caduti nella sua trappola. Adesso aprite gli occhi, e vedete chi è veramente quest’uomo: non è solo un impostore, un sobillatore, ma un “bestemmiatore” e un “malfattore”. E voi avete creduto in Lui! Vedete, siete stati beffati, presi in giro proprio da Lui”. Anche l’atteggiamento dei soldati è un calco, un comportamento mimetico - come direbbe René Girard - di quello dei capi (non sarebbero dei subalterni, altrimenti!). Tuttavia, a differenza dei capi, la loro derisione dura un’istante, è un’azione puntuale, compiuta una volta sola. Sono, quindi, meno colpevoli dei capi. I soldati se la prendono con “quell’uomo appeso alla croce” perché ai loro occhi non sembra affatto un re: per questo lo deridono. Di solito, i re hanno un esercito, fanno di tutto per salvarsi, mandano in prima linea gli altri, non certo loro stessi. E costui, proprio perché è dov’è, non può certo essere un re. E forse dobbiamo dar loro ragione: non è un re secondo le logiche di questo mondo. Ora ci spostiamo a un livello superiore: se prima eravamo con la folla che guardava, oppure eravamo sotto la croce, ora siamo a livello del “volto”.
Forse da quassù si guarda meglio, si entra ancor di più nel mistero dell’uomo crocifisso, di fronte al quale anche tu sei chiamato personalmente a prendere posizione. Non ti è permesso di stare tra i se e i ma. Ora tu, solo tu, e non altri al tuo posto, sei chiamato in prima persona a prendere una decisione. «Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava». Che cosa ci potremmo aspettare da un malfattore? Di certo non ha studiato ad Oxford, parla il linguaggio che conosce, ha dei modi rudi, non gliene possiamo fare una colpa. Ha vissuto così, non sa fare altro, non va oltre i propri interessi, le proprie logiche. Che cosa chiede questo malfattore? “Visto che dicono che tu sei il Cristo, salvati e salva anche noi. Ma fallo presto, stiamo per morire. Se puoi fare qualche cosa, intervieni subito, prima che sia troppo tardi”. Quelle parole sarcastiche possono anche essere intese come uno “Svegliati, che cosa aspetti, muoviti!”. Paradossalmente, questo linguaggio diventa un modo per incoraggiare “colui che dicono essere il Cristo”, il messia, l’unto del Signore, a usare i suoi poteri eccezionali per salvarsi e salvare loro che sono come lui, né più né meno, condannati alla stessa pena. «L'altro malfattore invece rimproverava» il suo “compagno di merende”: «Guarda che se siamo qui è perché abbiamo fatto del male. Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
Un malfattore (e se lo dice lui c’è da crederci), afferma che l’uomo appeso alla croce è innocente; mentre tutti accusano il crocifisso, denigrandolo, lui, il reo, consapevole della propria colpa, ne riconosce l’innocenza. Guardando “colui che è appeso al legno della croce”, come in uno specchio, si guarda e si scopre peccatore, meritevole di condanna, a differenza dell’uomo appeso alla croce, che veramente «non ha fatto nulla di male». Ma allora, perché è qui? Dove stanno i malfattori? Perché sopporta la mia stessa condanna? E’ qui forse perché gli uomini sono cattivi? E qui perché tante volte la giustizia è ingiusta e condanna anche coloro che sono giusti? Oppure è qui per me? Guardando l’uomo di Nazaret, che sta condividendo la sua stessa sorte, il malfattore scopre che il “figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare chi era perduto”. Lui era davvero perduto e Gesù, l’innocente, è lì in croce, come lui, per salvare un peccatore. A differenza di tutti, il malfattore “divenuto buono” non chiede di essere salvato, ma di essere ricordato. Di solito, il ricordo di un malfattore deve essere cancellato: “Chi mai dovrebbe ricordarsi di un poco di buono?”. Quest’uomo “sbagliato”, invece, si trova oggi (subito, qui e ora) per primo, nel posto giusto: in paradiso. Il primo uomo che entra in paradiso è un malfattore, che chiede di poter fare il nido nella Memoria-Cuore, purissima e innocente, del figlio di Dio. Ci sarà un posto anche per noi nel “Regno di Gesù”, per noi che troppo spesso ci riteniamo uomini e donne “giusti”?
(DON UMBERTO COCCONI)
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