Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno sabato 7 aprile
2013 alle ore 7,49
Gesù disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (dal vangelo secondo Giovanni)
“Incredulità di San Tommaso” è un dipinto realizzato tra il 1600 ed il 1601 dal pittore italiano Caravaggio. Chi conosce anche superficialmente la sua pittura, sa che egli è il maestro del confronto creativo tra la luce e le tenebre; la luce genera le forme, i corpi, la loro sostanza espressiva, la loro concretezza, così straordinariamente reale, come se lo Spirituale fosse totalmente e pienamente incarnato. Per un momento, non fermiamoci sui personaggi, ma sulla luce del dipinto, che è concentrata sui volti e irrompe, come dall’alto irradiandolo, il costato di Gesù. La ferita del costato è come un varco che raccoglie la sorgente misteriosa della luce: pare una finestra aperta, aperta su che cosa? Chi è Tommaso? Tommaso è anzitutto uno dei Dodici, cui è stato affibbiato anche un soprannome, cioè “didimo”, che vuol dire ‘gemello’. Forse un’allusione al fatto che impersona nel contempo il dubbio e la fede, come se lui avesse una doppia personalità? Tommaso è da sempre ritenuto l’uomo incredulo per eccellenza, colui che crede in ciò che tocca e vede; perciò considera veri solo i fatti, che si possono investigare, grazie a un’esperienza personale e diretta. Siamo informati – dal testo - che «Tommaso non era con loro – con i discepoli - quando venne Gesù» il primo giorno dopo il sabato. Dov’era Tommaso quel giorno? Perché non era con gli undici? Forse non era con loro, perché aveva rassegnato le sue dimissioni dal gruppo? Invece no, cambia idea. Infatti, «otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c`era con loro anche Tommaso». Quindi Tommaso ci ha ripensato, sulla base di che cosa? Si è sentito provocato dalla testimonianza degli undici che gli hanno detto: «Abbiamo visto il Signore!»?
Cosa fa, allora, Tommaso? Osa affermare, davanti a tutti: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Ma siamo proprio sicuri che Tommaso sia uno di quelli che se non tocca e non vede, non crede? Oppure Tommaso non vuole solo semplicemente toccare e vedere Gesù, ma vuole toccare e vedere una cosa ben precisa di Lui, messa in luce in modo così potente dal Caravaggio? Dunque, che cosa realmente desidera vedere Tommaso? Lui vuol vedere che è risorto Gesù il Crocifisso! Non vuole vedere soltanto che è risorta una vita in carne e ossa, ma è proprio risorto colui che è stato crocifisso. Il testo giovanneo non dice che Tommaso si accostò e mise il dito nel costato di Gesù. No, è Gesù stesso che gli ordina: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco». È affascinante questa scena, che è “narrata” pittoricamente dal Caravaggio: la mano di Gesù afferra con forza e decisione il braccio di Tommaso, che oppone una certa resistenza, perché metta il suo dito proprio dentro il costato. E’ il dito dell’uomo che vuole entrare nel cuore del mistero di Dio. Questa ferita è trasformata in una sorta di “feritoia”, che per guardarla è necessario aggrottare la fronte. «Bellissima questa mano che prende la tua e ti introduce nello squarcio del suo cuore ferito: la tua/mia mano non saprebbe in che direzione andare, il tuo/mio dito cercherebbe altro. Invece ti introduce nientemeno nello squarcio aperto sul mistero di Dio» (Giulio Brambilla). Tommaso dirà: «Mio Signore e mio Dio!», quando vede che è proprio Gesù il Crocifisso ad essere risorto. Questa è la cosa importante, anzi è l’avvenimento decisivo: colui che è stato considerato il maledetto da Dio, è risorto! Dio in Gesù Cristo è entrato nell’abisso del peccato e la morte in croce del figlio di Dio, ci racconta di un Dio vulnerabile, che si lascia ferire dal “no” dell’uomo e lo accetta, portando per questo sul suo corpo, i segni di un amore crocifisso.
La vera crisi della fede sta nel credere che se Dio c’è, è così, come si è manifestato nella storia di Gesù di Nazaret. Nella vicenda di quest’“ebreo marginale”, conosciamo il Dio invisibile, che si rende visibile nella carne di Gesù. Donare la propria vita con il consenso generale, tra due ali di folla che applaudono, è facile, si diventa persino degli eroi, ma vivere secondo la logica della croce vuol dire, invece, che gli altri non riconoscono quel dono d’amore che si dà gratuitamente a tutti, anche ai nemici, nella più totale libertà. In tutta la Scrittura, non esiste un’espressione di fede più alta di quella di Tommaso che afferma: «Mio Signore e mio Dio!». Tommaso non dice: “questi è il Figlio di Dio”, bensì confessa che colui che porta i segni della passione è il “suo Signore e il suo Dio”. In questa espressione dobbiamo cogliere lo stupore e la meraviglia del credere di Tommaso, del suo sentirsi amato profondamente da Chi ha dato la sua vita per lui. Gesù diventa per Tommaso “mio”, diventa realmente il Dio e il Signore della sua vita. Nel toccare il costato, Tommaso passa attraverso quella ferita e attraverso di essa possono entrare tutti coloro che guardano con occhi attenti e la fronte corrugata. Se Dio rimane in alto e non tocca la nostra vita, non è un problema credere in Dio, ma se Dio davvero entra nella nostra storia di peccato e si lascia contaminare da essa, lasciandosi crocifiggere, vivendo l’esperienza del nulla e della morte, allora Dio è diverso, è “Totalmente altro” rispetto a come lo avevamo immaginato. E’ davvero il Dio con noi, è davvero il Dio per noi, che non ha paura di morire per tutti i peccatori. Come dice l’apostolo Paolo: «Lui mi ha amato e ha dato se stesso per me».
E noi, uomini e donne del XXI secolo, come possiamo credere senza aver visto? Come possiamo fare pure noi l’esperienza di Tommaso? Ma è possibile credere senza vedere? Il lettore di ogni tempo si domanda: allora noi non vedremo più niente? Qual è il “corpo” che noi dobbiamo toccare con il dito come Tommaso, per credere? «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro». Tutti noi interpretiamo questa conclusione del vangelo di Giovanni, come una semplice informazione. Giovanni, in sostanza, ci informerebbe che lui ha fatto una selezione dei gesti di Gesù? No! Vuol dirci in realtà una cosa ancora più interessante e decisiva: che il suo vangelo è una selezione di “segni”. Infatti, rispetto ai vangeli di Matteo, Marco e Luca, il quarto vangelo risulta essere una selezione di “segni”, non solo dei fatti e dei detti di Gesù. L’evangelista aggiunge, con insistenza: «Questi [segni scelti] sono stati scritti perché voi crediate». «Ecco cosa tocchiamo noi oggi: non il corpo risorto di Gesù, ma il corpo della Parola, del Libro scritto», cioè dei segni (Giulio Brambilla). Toccare il corpo della Scrittura, la divina rivelazione, è l’altro modo, quello che ci è stato lasciato a noi, insieme al Corpo eucaristico, per poter affermare come Tommaso: «mio Signore e mio Dio». Tutta la tradizione della Chiesa ha sempre ritenuto il Vangelo, come la manifestazione del mistero santo di Dio. Non c’è accesso a Gesù senza “i segni della scrittura” dell’Evangelo. Dovremmo oggi dire così: “Beati coloro che, senza aver visto come Tommaso, ma leggendo e gustando il Libro, crederanno”.
(DON UMBERTO COCCONI)
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