Parmaindialetto pubblica sia in Italiano che in dialetto Parmigiano
LA STORIA DEGLI ANOLINI ALLA PARMIGIANA
Questo testo, in parte a carattere ironico, conferma con un briciolo di fantasia la “rivalità” che esiste fra le città di Parma e Reggio Emilia, è stato scritto da Enrico Maletti nel 2000, e il giorno 1 maggio 2002 si è classificato al terzo posto al concorso dialettale “Giorgio Fini” a Modena riguardante i dialetti e i piatti dell’Emilia Romagna. Alla manifestazione hanno partecipato scrittori dialettali di tutte le città della nostra regione. Questo testo basato su alcune ricerche fatte da Maletti sul piatto degli Anolini, richiama l’anolino dalla prima apparizione del piatto parmigiano ad opera di Bartolomeo Scappi nel 1570, al cuoco Palermitano Carlo Nascia, 1659, al cuoco Bartolomeo Stefani, dello stesso periodo del Nascia, che anche loro cucinavano già da allora gli anolini, fino ad arrivare a Vincenzo Agnoletti, confetturiere-credenziere e cuoco della Duchessa Maria Luigia che diceva; "Solo al Re Anolino la Duchessa Maria Luigia porge l'inchino". Il piatto principale Parmigiano, già alla corte della Duchessa, era chiamato “Anolén” e non “Caplètt”. A Reggio Emilia il Cappelletto, che è a forma di tortellino, viene chiamato “Caplàtt”. La forma del “Caplàtt” Reggiano richiama il cappello delle Suore che prestavano servizio negli ospedali fino agli anni 50/60. Di seguito la storia degli anolini sia in Italiano che dialetto Parmigiano. Buona lettura!!!
(Testo blu in Italiano)
Parma, città al centro dell’Emilia, dove a tavola si risolvono tanti problemi.
Stare a tavola e mangiare bene fa parte della nostra cultura, anche perché a pancia piena si ragiona meglio. Nella provincia di Parma ci sono tanti paesi che producono del salume, verso la collina Langhirano con il prosciutto, Felino con il salame, nella zona della bassa, S.Secondo con la spalla cotta e a Zibello il culatello e ad ogni angolo esiste un caseificio che con tanti litri di latte, del caglio, del sale, produce quello che si chiama “parmigiano reggiano” e noi Parmigiano chiamiamo “grana”, che è il re dei formaggi.
I nostri cugini di Reggio, dicono che la patria del grana è dalle parti di Bibbiano, invece noi Parmigiani, forse un poco bugiardi, vantiamo l’invenzione di questo capolavoro, perché dovete sapere che la forma del grana sembra sia nata quadrata, (come le teste dei nostri cugini Reggiani), poi sono arrivati i Parmigiani che con una lima hanno smussato gli angoli della forma, così da Bibbiano verso Parma, con la poca discesa, verso Montecchio, è passato da Montechiarugolo, e come una fucilata è arrivato fino a Parma, ecco perché è diventato PARMIGIANO.
No!!! Avrete capito che queste battute servono per prendere in giro i nostri vicini che abitano dall’altra parte del ponte sull’ torrente Enza.
Tornando alle specialità di Parma, uno degli emblemi della nostra cucina è la sfoglia, che una volta era una presenza quotidiana nelle case. La massaia, che è la regina della casa, cominciava ad impastare la sfoglia alla mattina di buon ora, ed a stendere con il mattarello sopra ad un tagliere un disco giallo e sottile, che serviva per fare le tagliatelle sottili da brodo, tagliatelle grosse per la pasta asciutta, i maltagliati e per il minestrone, la sfoglia è anche la base per fare gli anolini, ed è proprio di questo piatto Parmigiano che io vi voglio parlare.
I peccati di gola nelle feste contadine portano lontano nel passato la ricerca della nascita dell’anolino parmigiano, quel fagottino con dentro un impasto con delle sfumature diverse, a secondo delle zone; concorrente dei ravioli, tortelli, agnolotti e dei cappelletti, famose e squisite creazioni delle città Padane.
E' di Bartolomeo Scappi, La prima apparizione storica dell’anolino risale al 1570, in un famoso trattato di cucina dal titolo “L’Oper dove c’è la ricetta per fare dei tortelli con pancia di maiale. Bartolomeo Scappi, probabilmente Bolognese, è stato il più grande cuoco del suo periodo, è stato al servizio del Cardinale Lorenzo Campeggi, lo chiamavano il cuoco segreto di Papa Paolo III che era Alessandro Farnese, che fu anche Vescovo di Parma, e Pio V Antonio Michele Ghisleri.
Gli anolini dovevano essere di nobile sapore e avere un aspetto gustoso, se un cuoco come lo Scappi gli aveva fatti apparire sulle tavole dei Re e dei Papi del millecinquecento. La preparazione degli anolini di allora rispecchia il gusto delle corti di quei tempi, dove imperava il sapore dolce, con degli ingredienti che al giorno d’oggi farebbero rivoltare lo stomaco, con dello zucchero, cannella, pepe, garofano, noce moscata, uva passa e zafferano.
Purtroppo sembra che il posto dove sono nati gli anolini non sia Parma, come tutti possono pensare, ma Roma dove i suoi usi si perdono nelle più umili cucine, è solo attraverso il casato dei Farnese che gli anolini da Roma sono venuti a Parma alla metà del milleseicento alla corte di Ranuccio II.
Un cuoco Palermitano Carlo Nascia, al servizio del Duca dal 1659, aveva scritto in un libro di ricette, insieme a tanti piatti freddi, caldi e arrosti, la presentazione di un piatto caldo; gli anolini.
Nello stesso periodo del Nascia c’era un cuoco dal nome Bartolomeo Stefani che in una delle sue ricette per fare gli anolini, per la prima volta ha fatto apparire il pane grattugiato scottato con il brodo, proprio come si fa al giorno d’oggi.
Nel 1800 alla corte di Maria Luigia di Asburgo, moglie di Napoleone e duchessa di Parma, c’era un cuoco di nome Vincenzo Agnoletti, autore di parecchie ricettari dove anche lui esaltava nelle sue ricette la bontà l’anolino e proprio a Vincenzo Agnelotti è stata attribuita la frase che diceva:
“Solo al Re anolino la Duchessa Maria Luigia porge l’inchino”.
Tornando ai nostri giorni, bisogna dire che gli anolini siano un rito nelle solennità famigliare dei Parmigiani, non c’è casa che per Pasqua o Natale non abbia il suo piatto di anolini.
Adesso parliamo degli ingredienti per fare gli anolini.
Per fare lo stracotto: carne di manzo, vitello e maiale, acqua e sale, verdure, cipolle, carote, chiodi di garofano e fare bollire per qualche ora.
Per fare il ripieno: in un tegame, pane grattugiato, formaggio grana grattugiato, due uova, un pizzico di noce moscata; colare il sugo dello stracotto e bagnare il pane grattugiato con il liquido dello stracotto ancora caldo, aggiungere formaggio grana grattugiato, uova e tutto tritato metà del manzo, vitello e maiale.
Per fare il brodo: carne di manzo (meglio sotto spalla), un osso di manzo mezza gallina o cappone, cipolla e carota.
Per fare la sfoglia: farina, uova e sale.
Il più importante per fare la sfoglia, è la massaia che è la regina della casa, si veste con un grembiule fresco di bucato, le maniche rimboccate fino al gomito, il mattarello; che meraviglia quando quelle mani possono andare dentro a una montagna di farina bianca e tante uova per impastare un capolavoro di sfoglia liscia e sottile e poi tagliata a strisce, dove mette tante palline di ripieno grosse come noccioline, poche per volta in fila come tanti soldatini, piega la pasta, e con il suo stampo rotondo e della dimensione di uno scudo d’argento di Maria Luigia, rigorosamente di legno di bosso, fa gli anolini, qualcuno per stampo adopera un bicchierino di vetro rovesciato.
(Al giorno d’oggi causa la tecnologia, il mattarello è stato messo in pensione e sostituito dalla macchina per fare la sfoglia).
Una volta fatti questi benedetti anolini, si mettono sopra ad un ripiano di legno coperto da una tovaglia in un posto fresco e asciutto, per uno o due giorni e dopo due giorni; signori!!!
Buon appetito.
Enrico Maletti
(Testo giallo dialetto Parmigiano)
La stòrja d’j’anolén a-la pramzàna
Pärma, citè al céntor äd l’Emila indo’ a tävla as risòlva tant probléma.
Stär a tävla e magnär bén bombén, a fa pärta ädla nòstra cultùra, ànca parchè a pànsa pjén’na as ragiớn’na pu bén. In-t-la nòstra provìncia gh’é tant paéz chi prodùzon dal salùm; da Langhiràn col parsùt, a Flén col salàm, a San Zgớnd con la spàla còta, Zibél col so culatél, e a ogni spudàc’ a g’hè un cazél che con tant lìttor äd lat, dal cag’ par cagiäda, dal säl, al produza còll chi ciàmon al “parmigiano reggiano” che nojätor pramzàn al ciamèmma “grana”,ch’l’é al re di formàj.
I nòstor cuzén äd Rèzz i dizon che la pàtrja dal grana l’é dal pärti äd Bibiàn, invéci nojätor pramzàn, fòrsi un po’ bagolớn, a vantèmma l’invensjớn äd sté caplavớr, parchè gh’ì da savér che la fớrma dal formàj grana a pèra ch’ la sia nasùda cuadräda, (cmé il testi di nòstor cuzén Arzàn) po é rivè i pramzàn che con n’a lìmma j’an zmusè tutt i cantớn ädla fớrma, acsì da Bibbiàn, vèrs Pärma con ch’ la poca diséza, vèrs Montèch, le pasè da Montc’rùgol, e cmé na fuziläda l’é rivè fin a Pärma, ecco parchè l’é dvintè PARMIGIANO.
No!!! arì capì che ch’ ìl batùdi chi jén solamént par där äd l’arlìja ai nòstor zvinànt chi stàn dòpa al pớnt äd l’Enza.
Tornànd al specialitè äd Pärma vớn di embléma äd la nòstra cuzén’na l’é la fojäda, che ‘na volta l’éra ‘na prezénsa cuotidjàna in-t-il cà.
La rezdớra, ch’ lé la regén’na ‘dla cà, la cominciäva a impastär la fojäda a la matén’na bonớra e a sténdor con la canéla insìmma al tavlòt un disch giäld e sutìl, ch’ al sarvìva par fär dil tajadéli sutìli da bròd, tajadéli gròsi par la pàsta sùtta, mältajè p’r al mnestrớn, la fojäda l’é anca la base par fär j’anolén, e l’é pròprja äd ste pjàt pramzàn che mi av’ vớj parlèr.
I pchè ‘d gola in-t-il fésti contadén’ni i pòrton lontàn in-t-al pasè la ricérca ’dla nasita äd l’anolén pramzàn, còl fagotén con déntor un impàst con dìl sfumadùri divèrsi, a secớnd dil zòni; concorént di ravjớj, di tordlètt, di agnolòt e di caplètt, famớzi e scuizìdi creazjớn dilj ätri citè padani.
La prìmma aparisjớn storica ädl’ Anolén le dal millaesincsentstanta in-t-un famớz tratè äd cusé’nna dal tittòl “L’Opera”, di Bartolomeo Scappi, indò g’hé la ricéta par fär di tordlètt con pànsa äd gosén. Bartolomeo Scappi, probabilmént Bolgnés, lé stè al pu importànt cớgh, o cuzinér, di so témp, l’é stè al sarvìssi dal Cardinèl Lorenzo Campeggi, j’al ciamävon al cớgh segrét di Päpa Paolo III, ch’l’éra Alessandro Farnese ch’ lé stè ànca Vesscòv äd Parma, e Pio V Antonio Michele Ghislieri.
J’anolén, i gh’ävon da ésor äd nobil savớr e avérog n’ aspét gustớz, se un cớgh cmé al Scappi alij’ äva fat comparìr insìmma al ménsi di re e di Päpa dal millesincsént.
La preparazjớn d’janolén d’alora la rispécia al gùsst dil cớrti äd chi témp indo’ imperäva al savớr dớls, con d’ ingredjént che al dì d’incớ i farìsson arvoltär al stòmmogh, con dal sùccor, canéla pìsta, pévor, garòfon, nớza moscäda, ùvva pasa e con dal zafféran.
Purtròp a pära che al sit indo’ è nassù j’anolén al né sia miga Pärma, cmé tutti i pớlon pensär, ma Ròmma indo’ il so strasjón is pèrdon in-t-il pu umili cuzé’nni, le sớl travärs al casato di Farnése che j’anolén da Ròmma j’én gnù a Pärma a la metè dal millesesént ala cớrta äd Ranuccio II.
Un cớgh Palermitàn Carlo Nascia, al sarvìssi dal Ducca dal milasesentzincuantanớv, l’äva scrìtt in-t-un lìbbor äd ricéti, insèmma a tant pjàt frèd, cäld e aròst, la presentasiớn d’un pjat cäld; j’anolén.
Dal stés témp dal Nascia a g’héra un cớgh äd nòm Bartolomeo Stefani, che in vùnna dìl sò ricéti par fär j’anolén, par la prìmma volta la fat comparìr al pan razù scotè con al bròd, cmé s’fa al dì dincớ.
In-t-al milaeotzént ala corta äd Maria Luiggia d’Asburgo, mojéra ‘d Napoleớn e Duchèssa äd Pärma, a gh’ éra cme cớgh un certo Vincenzo Agnoletti avtớr äd parècci
ricetäri indo’ ànca lu l’esälta la bontè äd l’anolén in-t-il so ricéti, e pròprja a Vincenzo Agnoletti è stè atribuij ‘na frèsa, cla dzèva:
“ Solo al Re anolino la Duchessa Maria Luigia porge l’inchino”.
Tornànd ai nòstor giớron bizòggna dir che j’anolén jén un rito in-t-il solenitè familiäri di pramzàn, an’ghé cà che par Pàscua o Nadäl l’an gàpia mìga la so béla tondé’nna d’anolén.
Adésa parlèmma d’ingredjént par fär j’anolén.
Par fär al stracòt: cärna äd manz, vitél e gozén, àcua e säl, verdùri, caròtli, cigòlla, ciòld äd garòfon, e bòjor par socuànt ớri.
Par fär al pjén: in-t-na tdgàma, pan razù, formàj grana razù, du ớv, un psigòt äd nớza moscäda; colär al sùg dal stracòt, e bagnär al pan razù con al lìccuid dal stracòt ancòrra cäld, zontär formaj grana razù, ớv, e tutt tridè metè dal manz, vitél e gosén.
Par fär al bròd: cärna äd manz ( méj sòtta spàla) un òs äd manz, metè galén’na o capớn, cigòlla e caròtla.
Par fär la fojäda: faren’na ớv e säl.
Al pù importànt par fär la fojäda, l’è la rezdớra regén’na ädla cà, l’a svestìssa con un scosäl frèssch äd bugäda, il manghi fati su fin ai gòmmod, con in man la canéla; che maravìja ch’il man cuànd i pớln’ andär dént’r in-t-na montagna äd farén’na bianca e tant ớv p’r impastär un caplavớr äd fojäda, lìssa e sutìla e po taiäda a strìssli, indớ a gh’ mètta su tanti balén’ni äd pjén grosi cmé nisớli, pochi par vòlta, in fila cmé tant soldatén, la pìga la pàsta, e con al sò stamp rotớnd äd la dimensjớn d’un scùd d’argént äd Maria Luiggia, rigorozamént äd lèggn äd bòss, la fa j’anolén, cuälchidớn p’r al stàmp al drớva al cul d’un bic’rén.
(Al dì d’incớ, purtròp càzva la tecnologìa, la canéla l’é städa mìssa in pensjớn e sostitujda dal machinètti par tirär la fojäda)
Na vòlta fat sti bendèt anolén is mètton insìmma a ‘n ripjàn äd lèggn cuatè da ‘na tvàja in-t-un sit frèsch’ e sut par vớn o du giớron, e dòp du dì; signori!!!
bớn aptìtt.
Enrico Maletti.
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