IL VANGELO DI DOMENICA 23 NOVEMBRE 2014
Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri ... Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me …».
“E ti vengo a cercare/anche solo per vederti o parlare/perché ho bisogno della tua presenza/per capire meglio la mia essenza”… Sono le parole di una famosa canzone di Franco Battiato, che sono state il sottofondo musicale di un’esperienza vissuta con diversi gruppi giovanili nei Venerdì sera in via D’Azeglio, nell’oratorio di S. Ilario, dove si è tenuto l’evento “Messa più movida... Roba da non credere”. In queste notti sono avvenuti incontri inaspettati, quasi del “terzo tipo”, da extraterrestri. “Signore, quando mai ti abbiamo visto…?”: la domanda del Vangelo di oggi ci risuona dentro, mentre li riviviamo nella memoria. E pensare che saremo “giudicati” proprio da come avremo vissuto i nostri “incontri”, sull’investimento di un amore concreto e multiforme che avremo dato nelle relazioni semplici, quotidiane, eppure misteriose, che viviamo ogni giorno: perché Cristo è lì, concreto e presente, specialmente quando non ce ne accorgiamo. Ecco: accorgersi e rendersi conto che non sono i giovani ad essere lontani da noi, ma siamo noi ad essere lontani da loro. Andiamo dicendo che i giovani sono al centro dei pensieri della Chiesa, ma riusciamo a comunicarlo in modo efficace? Sembrerebbe però che i ragazzi siano lontani anni luce dal “sentire” tutta questa sollecitudine. E’ proprio per dire a ogni giovane “quanto è importante” che li abbiamo cercati anche ai crocicchi delle strade: non solo nelle aule universitarie, dove questi s’impegnano a costruire il suo futuro, ma anche in quei luoghi dove “forse” qualcuno si è perso. I volti dei ragazzi e delle ragazze di Parma ci dicono tante cose. Il più delle volte, ti provocano, proprio perché si trovano davanti un prete, anzi alcuni ti deridono proprio. Pazienza, ci può stare! Altri, però, con le loro domande ti sorprendono e li senti improvvisamente vicini. Ti dicono che non credono nella Chiesa, ma hanno occhi accesi.
Vorrebbero mettere tutto in discussione, anche se stessi: e questo è un atteggiamento onesto che va considerato. Ho incontrato per le vie di Parma diversi ragazzi e ragazze che hanno detto di essere atei, talvolta con orgoglio, per sfidarmi, naturalmente. Eppure, da questo è nato un dialogo, un confronto e perché no anche una reciproca stima. Una cosa è certa: li ha sorpresi la nostra “iniziativa”, il nostro primo passo per parlare con loro della felicità, per costruire un ponte che ci aiutasse a confrontare le nostre reciproche differenze. Ciò che li ha stupiti - in questa formula “messa più movida” - è stato il nostro esserci, il nostro metterci in gioco, totalmente. Più volte hanno detto: “Perché vai via? Resta con noi!”. C’è fame e sete di felicità nel profondo del cuore dei giovani. Hanno tanti talenti, ma non sanno come “investirli”, come spenderli: dove andare per “giocarsi la vita”, e giocarla bene? Dove trovare la felicità, la pienezza della vita? Non ci credereste, ma con il gruppo di giovani missionari abbiamo stazionato a lungo sotto i portici dell’ospedale vecchio. Era abitato dai cosiddetti “fattoni”, dai dark sempre vestiti di nero, che non hanno esitato a farci sapere che queste cose a loro non interessavano. Eppure, nonostante ciò siamo rimasti lì a parlare con loro e ci hanno ascoltato. Certo, avevano una gran voglia di “stuzzicarci”, ma i loro occhi si sono più volte illuminati: avevano dentro una gran sete di autenticità e di verità. Abbiamo incontrato anche quei giovani che paiono prigionieri del benessere, di immagini e modelli imposti dalla società, dal mondo dello spettacolo, per cui faticano nel definire la loro identità. Per paura vivono, infatti, relazioni ambigue con i loro coetanei: non si sentono all’altezza delle prestazioni che la società chiede loro, se non sono adeguatamente stimolati e “dopati”.
Ho scoperto che fra i talenti che il Signore ci ha donato, ci sono anche questi giovani. Sono loro la nostra grande ricchezza. I beni del Signore che stiamo incontrando giorno dopo giorno, “bombe” potenziali che possono far esplodere il vecchio mondo e generarne uno migliore. Se siamo al venerdì sera in Via D’Azeglio è anche perché desideriamo far riscoprire a tanti di loro questa verità: che la loro vita è una grande possibilità per tutti e che sono amati da Dio. Certo, a volte, anch’io mi sono ritrovato vittima della paura, o meglio della sfiducia: magari non ho fermato un ragazzo per la paura della rispostaccia, di un gesto di rifiuto pesante. Invece, se avessi osato, avrei potuto innescare, forse, una bellissima “reazione a catena”. Ma io non ho creduto in lui e sicuramente non mi sono fidato abbastanza di Dio. I volti incontrati mi raccontano la bellezza di tante persone, la loro ricerca della felicità, ma sembra che non riescano a trovarla nella Chiesa, perché? Hanno un gran desiderio di felicità, ma non pensano che la Chiesa possa darla. Una delle tante risposte che i giovani mi hanno provocatoriamente lanciato è: “La mia vita va già bene così”. Ma poi, quando si parla di gioia, senti che a loro non basta la vita che stanno vivendo. Lo vedo dai loro occhi che s’illuminano, nell’istante in cui hanno ascoltato nel profondo la loro sete. Non è che non amino la Chiesa, non amano una Chiesa appiattita, ripiegata sulle logiche mondane, che non è più profezia. Tante volte, tutto quello che si riesce a vedere sono apparati, strutture, riti vuoti, burocrazia, diffidenza, pesantezze, divieti, uniti a un moralismo schiacciante. Chiedono di poter vedere di nuovo il volto di Gesù di Nazaret che illumini una Chiesa che viva sino in fondo la bellezza del Vangelo, che sappia di nuovo raccontarlo nelle alterne vicende del nostro presente. Una Chiesa in cammino, una Chiesa “compagna” nel viaggio della vita, che ti aiuti a scoprire e a sentire, che sei davvero amato da Dio.
(UMBERTO COCCONI)
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