"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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domenica 24 marzo 2013

Il Vangelo della domenica. Commento di don Umberto Cocconi.


Pubblicato da Don Umberto Cocconi il giorno domenica 24 marzo
2013 alle ore 15,35




 
 
 
 
 
 
 
 Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c'era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò. Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest'uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo (dal vangelo secondo Luca).
 
Sul palcoscenico della storia, davanti agli occhi di tutti gli uomini di ogni tempo e luogo, ancora una volta, Dio dà “spettacolo”, si mostra in tutta la sua nudità al mondo. Nel corpo del crocifisso Dio rivela la sua gloria. Luca per raccontare la passione di Gesù usa proprio il termine “spettacolo”, in greco “theorìa”, che prima di diventare la “teoria” filosofica, indica proprio l’atto del guardare e lo spettacolo guardato-osservato. “Spectaculum”, spettacolo, è una parola che  ha la stessa radice del verbo latino “spicio” e quindi del suo participio “spectum”, osservo, guardo: dunque, “spettacolo” è tutto ciò che attrae lo sguardo, la vista, l’attenzione. Proprio i verbi del vedere, del guardare e dell’osservare sono i più usati in questo racconto: «Il popolo stava a vedere ... Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio ... la folla che era convenuta a vedere lo spettacolo ...Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo». Chi vede la crocifissione di Gesù può solo in un primo momento “stare a vedere”, non prendere posizione, essere semplicemente uno spettatore passivo. Lo stesso evangelista Giovanni dirà: «guarderanno a colui che è stato trafitto». Presto o tardi tutti sono chiamati ad entrare in scena, a prendere posizione di fronte all’uomo crocifisso, il quale, pur dicendo solo sette parole, interpella, esige una reazione, vuole interloquire con ogni spettatore. Ciascuno è chiamato, di fronte “all’uomo dei dolori”, a scoprire la verità di se stesso, a togliersi la maschera. Così ci sono i capi del suo popolo che lo deridono, che in tutto quello che hanno davanti agli occhi vedono uno spettacolo comico: è un Dio da burla. Così il cattivo ladrone vede in lui il finale tragico della propria stessa esistenza sulla terra. Il buon ladrone scopre, al contrario, guardando il crocifisso, la miseria della propria vita: “Se io sono qui è perché ho sbagliato, tutta la mia vita è stata vanità, un inseguire il vento, ma Lui non ha fatto nulla di ‘fuori luogo’. Ma perché è qui sulla croce? E’ qui per me, per salvarmi”.
 
Il buon ladrone «dimostra di possedere una sua sana teologia del timor di Dio, in base alla quale innocenza e colpevolezza, nonostante le terribili confusioni degli uomini e dei loro tribunali, fanno la differenza, per cui comunque una retribuzione diversa pende sul capo di chi fa il bene o il male. Timor di Dio altro non è che rispetto delle autentiche differenze» (Roberto Vignolo). L’evangelista Luca non ci aveva raccontato la parabola della pecorella smarrita, anzi, della pecora che il pastore aveva perduto? Per questo egli lascia le novantanove pecore nel deserto e si mette a cercare la sua pecora, finché non la ritrova. C’è un pastore che ti viene a cercare dove sei, nella solitudine della morte, nel luogo della perdizione, nel luogo della condanna: sulla croce.  Il centurione vedendolo  spirare in quel modo dirà: “veramente quest’uomo è giusto”, capace di una giustizia diversa da quella degli uomini che condannano. Lui, un non credente, sa contemplare nel volto del crocifisso la gloria di Dio, la giustizia di Dio che perdona il peccatore. Così, quando sullo schermo compare il fatidico “the end”, dopo tanti giochi di colori, tra chiaroscuri di luna e sole che si sovrappongono, nel rosso che imporpora questo corpo bianco, si odono fragori di veli che si squarciano e la battuta finale di Cristo su cui cala il sipario della ri-velazione: tutto si oscura nel mistero della notte del venerdì Santo. La folla, ora, non sta più a vedere, ma è venuta a vedere: è stata convocata, radunata, ha risposto a un invito. E’ Chiesa, ecclesia, popolo radunato dalla voce di un Padre che chiama, dal paese della schiavitù, alla libertà della nuova alleanza. Non sta più a vedere, ma ripensa a quanto era accaduto. Si battono il petto, come a voler rimodellare la propria stessa umanità, perché il cuore, nella Bibbia, dice l’uomo stesso, dice la totalità del suo essere. Ormai questi uomini e queste donne non saranno più gli stessi.
 
Questi spettatori sono destinati a interpretare una parte da protagonisti sul palcoscenico della storia. Saranno i testimoni oculari del più grande spettacolo di sempre (più del big-bang!): sono destinati ad annunciare al mondo quello che hanno udito e veduto. Hanno un copione da recitare: il vangelo! Dovranno con i loro gesti e le loro parole far rivivere queste scene in modo vivido per chi non ha visto, al punto che in ognuno di loro chi sarà evangelizzato dovrà vedere un altro Cristo, lo stesso Cristo. La Passione di Gesù Cristo è uno spettacolo che non annoia mai, che anzi ti rende attore principale nella storia. Ti chiama a raccontare con la tua vita quello che hai udito e quello che hai veduto, ossia la parola della vita fatta carne, debolezza, fragilità, fatta uomo in croce. Ma c’è anche chi sta a guardare da lontano. Paradossalmente, chi non sta in prima fila, chi per ora non interpreta nessuna parte e sembra volersi tirare fuori dallo spettacolo; essi sono quelli che non si son persi l’inizio. Quelli che lo conoscevano, quelli che avevano visto tutte le altre scene e non solo l’atto finale della vicenda “Gesù di Nazaret”, stanno lontani dal palcoscenico, eppure saranno loro i testimoni oculari del seguito: la Risurrezione. Questo significa che lo spettacolo è talmente coinvolgente che non puoi tirartene fuori, neanche se ti sforzi di farlo. Prima o poi sarai dentro la storia: «quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me». Anche tu che sei stato lontano dal calvario vorrai avvicinarti – come attirato da una forza misteriosa e magnetica (l’amore) – all’orto della risurrezione e partire da lì per andare a raccontare tutto quello che hai visto e di cui sei stato testimone fin dal principio.
(DON UMBERTO COCCONI)

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