Pubblicato da Don Umberto
Cocconi il giorno mercoledi 15 luglio 2012 alle ore
23,58
Dal Vangelo secondo Luca: In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva ... ». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Tra
le opere oggi più lodate della sua intera produzione, la Morte della Vergine provocò a suo tempo un
tale scompiglio tra il clero, gli artisti dell’Accademia e i benpensanti da
rimanere interdetta alla visione di chiunque, fino al momento in cui venne acquistata
per 300 scudi dal duca di Mantova (su
consiglio del suo pittore di corte, un altro grande che ben sapeva riconoscere
il genio: Pieter Paul Rubens). L'opera suscitò un tale interesse
nell'ambiente degli intellettuali e degli alchimisti romani che furono fatte
molte pressioni perché fosse esposta al pubblico prima del suo
trasferimento a Mantova. Nell’aprile
del 1607, prima di essere spedito alla corte di Vincenzo Gonzaga, il quadro venne
infine esposto a grande richiesta, con un incredibile successo. «Certo m’è
stato di soddisfattione il lasciarla goder a satietà» scriveva l’emissario del
marchese al suo signore, «perché è stata commendata di singolar arte».
Tutt’altra reazione aveva suscitato il
grande dipinto quando venne esposto per
la prima volta nella cappella privata di Laerzio Cherubini, in Santa Maria
della Scala a Roma: fu subissato di contestazioni e fatto rimuovere. Secondo i
biografi del Caravaggio, la tela fu
rifiutata perché ritenuta oltraggiosa: secondo Bellori “per havervi troppo imitato una donna morta
gonfia“, per il Baglione “perché
havea fatto con troppo poco decoro la
Madonna gonfia , e con gambe scoperte“, secondo il
Mancini invece perché ” havea ritratto
una cortigiana“. Un altro elemento che
sconcertò i contemporanei fu che il tema della morte della Vergine venne affrontato
dal Caravaggio in modo esplicito e crudo.
Tradizionalmente, questo episodio (che peraltro non compare nelle Sacre Scritture)
veniva rappresentato come la “Dormitio
Virginis”, la dormizione, il sonno della Vergine, per sottolineare il fatto
che la morte della Madre del Signore è stato un passaggio, un breve preludio
prima della sua Assunzione in cielo; tant’è che di solito gli artisti
rappresentavano prevalentemente l’Assunzione, non la morte di lei. Caravaggio invece mostra senza alcun “filtro” un cadavere, un corpo terreo, gonfio, inerte, che è
stato abbandonato dalla vita. Una prassi del tutto insolita e all’apparenza
poco rispettosa nei confronti della Madre del Signore.
A distanza di più di quattro secoli, la grande tela non ha ancora
smesso di “colpire” a fondo chiunque si dedichi a osservarla. Un piccolo gruppo
di personaggi – gli apostoli – è intento a vegliare il corpo della Vergine,
steso su uno spoglio catafalco. Maria ha una posa naturale: una mano sul grembo,
il braccio sinistro abbandonato su un cuscino. Del suo corpo, gonfio e livido,
si scorgono anche i piedi nudi. Il suo abito rosso vermiglio spicca non poco
nella penombra. Intorno a lei, gli apostoli addolorati; in primo piano la Maddalena affranta, seduta
su una semplice sedia, che piange con la testa tra le mani. La tonalità cromatica
molto scura è ravvivata dal rosso della veste di Maria e della tenda che scende
dall’alto. Stupenda, oltre all'illuminazione, è la composizione: gli apostoli
(anziani e meno anziani, con diversi atteggiamenti che li individuano, li
distinguono, pur nel comune dolore) si stringono attorno al tavolaccio dove è
distesa la donna, formando, in linea col corpo e col
braccio di lei, una croce perfetta. L’enorme drappo rosso che sovrasta la scena
dà equilibrio al dipinto, e nel contempo (come avverrà poi nella Madonna del Rosario che Caravaggio realizzerà a Napoli) incombe sulla
composizione «quasi fosse il sipario sollevato su un palcoscenico dove si
recita l’epilogo di un dramma verista».
L’ambiente, il modo di
raffigurare i personaggi, tutto trasmette un’impressione di povertà; sembra non
esservi nulla che renda omaggio alla santità della Vergine Maria. E
tuttavia, Caravaggio non è certo artista ingenuo: gli
antefatti storici (la scelta della modella, ad esempio, probabilmente una
prostituta, amata dall’artista o un’altra, comunque a lui nota, l’una morta di
parto, l’altra di idropisia, in fama di santità) non sono determinanti, o meglio
non sono limitanti. Ogni elemento dei suoi dipinti (dalla composizione fino a
elementi apparentemente secondari) si presta a una pluralità di letture
simboliche. I piedi nudi (della
Vergine, degli apostoli) non sono forse il simbolo dell’umiltà? Il catino, raffigurato alla base del dipinto, rinvia alla pia
pratica del lavaggio del cadavere, ma è oggetto spesso ricollegato al momento
del parto. Potrebbe alludere alla seconda nascita di Maria: dal suo ingresso
nella vita terrena all’ingresso nella vita eterna. L’allusione potrebbe
ugualmente riguardare la sua divina maternità. Il ventre gonfio non rinvia
forse alla Grazia divina, di cui è per sempre "gravido" il grembo di
Maria? La Vergine ,
fra l’altro, è ritratta come una donna ancora giovane, quasi un’immagine della
Chiesa immortale. Attraversando la morte, non diversamente dal Figlio, Maria diventerà dunque
per sempre la Madre
della Chiesa – di una Chiesa esperta in umanità e pronta a compatire ogni
sofferenza, ogni dolore, innanzitutto quelli degli “ultimi”. Caravaggio dunque non si
sente blasfemo nel ritrarre i piedi della Vergine o il suo ventre gonfio. La
descrizione intensamente realistica consente invece al pittore di ritrarre una
scena di umano e sincero dolore, immediatamente comprensibile anche agli
spettatori più umili. Uno degli elementi più rivoluzionari della teologia caravaggesca
consiste infatti proprio nella ricerca di Dio nel mondo dei piccoli e dei
poveri. Anche nei lividi chiaroscuri della Morte
della Vergine si sente risuonare quindi il canto del Magnificat.
E tuttavia, l’artista lombardo non parte da un’esplicita meditazione
sulla santa incorruttibilità del corpo di Maria, ma dal mistero della morte di
una donna, da poco deceduta, colta in tutta la sua concretezza. Nella sua
poetica, dipingere “dal vero”, lavorando con scrupolo sulla veridicità di ogni
particolare, non toglie certo grandezza al soggetto sacro rappresentato. Al
contrario, permette di accostarvisi in modo più semplice e immediato, rendendo
omaggio alla sacralità del reale, rappresentato nella sua povertà e verità, nel
suo limite, nel suo dramma di tenebra e di luce: tale è la vita, la vita umana
in particolare, che Dio ha amato fino a penetrarla, fino a farsene totalmente
carico e a redimerla “dall’interno”. Nessun artista quanto Caravaggio è pittore
dell’Incarnazione.
(DON UMBERTO COCCONI)
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