"Al Condominni" poesia brillante in dialetto parmigiano di Bruno Pedraneschi,letta da Enrico Maletti

Estratto di un minuto del doppiaggio in dialetto parmigiano, realizzato nell'estate del 1996, tratto dal film "Ombre rosse" (1939) di John Ford. La voce di Ringo (John Wayne) è di Enrico Maletti


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sabato 14 marzo 2015

IL VANGELO DELLA DOMENICA. COMMENTO DI DON UMBERTO COCCONI




IL VANGELO DI DOMENICA 15 MARZO 2015

Nicodemo è un uomo importante, è considerato un maestro, in Israele. Ha sentito parlare del discusso rabbì di nome Gesù e desidera incontrarlo, ma non può farlo “alla luce del sole”: ha pur sempre una reputazione da difendere! Per questo, si reca da lui di notte, lontano da sguardi indiscreti. Indubbiamente è una figura emblematica: di giorno è un fariseo, zelantissimo maestro della Torah, di notte, invece, compie una sua ricerca privata, fuori dagli schemi. Non ha qualcosa di familiare, tutto questo? Anche noi, occidentali del terzo millennio, siamo allineati alle logiche di questo mondo; ne seguiamo le leggi e i riti, ma nello stesso tempo, nella nostra notte, nel nostro profondo, sentiamo e manifestiamo un’insoddisfazione, un’inquietudine sempre inappagata, per una vita che non ci soddisfa mai fino in fondo. Nicodemo, cercatore notturno, mi sembra davvero l’icona dell’uomo del nostro tempo: «disincantato, critico, e al tempo stesso confuso e insicuro; segnato da un radicale scetticismo nei confronti di Dio e di ogni ideologia totalizzante» (Giovanni Colzani), eppure sempre alla ricerca, teso verso un inafferrabile “di più”. Per quanto fortemente dominato dalle logiche scientifiche, assediato dalla concretezza dei fatti, l’uomo d’oggi è ancora attratto dal mistero della vita, ed è pur sempre portato a riconoscere quell’inafferrabile che lo supera, che viene da un “altrove”. 

Ma in questo mondo non sembra più abitato dal “brusio degli angeli”, dove l’uomo ha voluto costruire la sua storia senza nessun riferimento al trascendente, sarà ancora possibile andare oltre se stessi, oltre la realtà fenomenica? Chi saprà dare una risposta alla ricerca di senso di questo Nicodemo, che è l’europeo di oggi? Saprà allora questi sintonizzarsi su una nuova lunghezza d’onda, saprà aprirsi “alla luce vera che è venuta nel mondo” o ancora una volta preferirà “le tenebre alla luce”, perché “le sue opere sono malvagie”? Forse, la cosa più difficile per l’uomo di oggi è ancora accettare che ci sia davvero Qualcuno che “lassù” lo ami. Non può crederlo del tutto, altrimenti dovrebbe impazzire all’idea che Dio lo sta davvero cercando, come uno sposo instancabilmente in cerca della sua sposa, o una sposa dello sposo, come nel sublime Cantico dei Cantici. L’uomo crede che Dio sia un contendente, un rivale, un padrone dal quale fuggire per emanciparsi. Ancora una volta, come in quella lontana notte con Nicodemo, Gesù ricorda invece all’uomo che Dio ama il mondo, lo ama alla follia, al punto da “donare suo figlio per la salvezza” di questo mondo, che rischia di perdersi per sempre. Questo racconto di un Dio che ama il mondo ben più di quanto lo amiamo noi, non ci destabilizza, non ci scandalizza? Dietrich Bonhoeffer criticava l’idea che una vita coerentemente cristiana debba comportare la fuga dal mondo, sostenendo che al cristiano è richiesto invece di misurarsi con la complicata realtà della storia e di entrare in essa. 

La vera spiritualità consiste dunque nel coraggio di immergersi in questo mondo. Molti uomini, forse, si sono allontanati da Dio perché lo hanno visto o immaginato “estraneo”alle cose alla terra e davanti a una tale immagine di Dio, la sentenza di Nietzsche “Dio è morto” ha un valore davvero liberatorio. Il Dio biblico, invece, rivelato all’estremo in Gesù, è tutt’altra realtà: desidera senza sosta "ri-fidanzarsi" con il mondo che lo rifiuta, perché ne è super-innamorato. E noi cristiani, perché non lo siamo? Per questa amata terra, per questo pianeta, per le nostre relazioni in questo mondo, che cosa facciamo? In un tempo come il nostro, che ama il primeggiare e l’imporsi, dove si guarda soprattutto alla realizzazione di se stessi e si rifugge assolutamente da ogni forma di fallimento, parlare della croce è scandalo e stoltezza, come direbbe giustamente san Paolo. Ma la croce piantata nella nuda terra è la rivelazione di un amore senza riserve né confini, che si consegna totalmente, pur sapendo di non essere corrisposto. La croce non contraddice l’amore per la vita, anzi lo esalta, lo porta alla sua più alta verità. Se la vita è amore, il fine della vita è dare la vita per gli altri: la morte viene privata del suo carattere di capolinea tragico, proprio perché diventa la via per raggiungere le energie più profonde e più vere della vita, date dall’amore. L’Abbá (papà) di Gesù, prima ancora di dire qualcosa su Dio, intende chiarire come dobbiamo stare davanti a Lui: vivendo da figli, da autentici figli suoi, e quindi da fratelli.
(DON UMBERTO COCCONI.)

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