il vangelo di domenica 8 gennaio
Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. (Vangelo secondo Marco)
La folla ha molteplici aspettative su Gesù: lo desidera, lo cerca, fa la fila per giungere davanti a lui ed essere guarita dalle mille malattie che la affliggono. Anche i discepoli, però, sono agitati per la grande e improvvisa notorietà di Gesù: un successo emozionante e gratificante anche per loro. I demòni martellano insidiosamente Gesù perché accontenti la folla, perché usi i suoi “poteri” per curare le loro malattie e i loro tormenti. Gesù è come “strattonato”, tra le folle che alla mattina presto sono già lì in fila per essere esaudite e i discepoli che, invece di lasciargli un momento di respiro, violano la sua unica vera “privacy”, il momento del colloquio a tu per tu col Padre, e vengono a chiedere udienza, sovraeccitati da quanto sta accadendo. Che fare di fronte a un consenso così straordinario, che forse Gesù stesso non si aspettava? La sua missione sembra ormai conclusa: le folle lo acclamano, lo riconoscono come un grand’uomo, gli stessi demòni rivelano la sua vera identità, quella di messia, di Figlio di Dio, e sembrerebbero volergli spianare la via. Invece no, Gesù si oppone a tutto questo. Per questo ordina ai suoi discepoli: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». Che messia vuol essere, dunque, Gesù? Come vuole svolgere la sua missione? A che cosa oppone resistenza? Ugo Borghello riflette criticamente sul tema delle idolatrie e mette in guardia contro la grande tentazione odierna, la stessa contro la quale Gesù ha duramente combattuto: “l’idolatria del consenso”.
«Il bisogno di un consenso radicale è la molla segreta di tutte le azioni e i pensieri degli uomini, è il principio architettonico dell’esistenza umana». Chi ne diventa schiavo è nevroticamente ossessionato dalla paura di perdere il consenso. Sono paure che conosciamo, in ambito ecclesiale: meno fedeli, meno proselitismo, meno “audience”, meno successo… Più in generale, in ogni persona c’è questo bisogno di essere idolatrata, di diventare un dio per qualcun altro, più precisamente per quel gruppo di persone per lui significativo. Un’esigenza così forte che può portare a dipendere dall’immagine che gli altri hanno di noi, in modo da alimentare la nostra “idolatria segreta”, nascosta nell’abisso del cuore umano. Dentro di noi c’è il desiderio di appartenere a una “chiesa”, a un gruppo con una sua solidità e identità: un desiderio che esprime il bisogno di riconoscimento sociale, di comunità vitali, in cui sentirsi soggetto significativo. Il senso della vita è sempre un «con-senso», un senso che viene da legami forti, da legami d’amore. Gesù però sa vincere la tentazione del consenso, presente anche in lui: lo vediamo già da questa pagina di vangelo, da questo suo modo di rispondere al «tutti ti cercano», al potere “divino” di dominare le folle, di essere il “re dei Giudei”, che lui capovolge immediatamente in impegno al servizio itinerante, rifiutando le lusinghe ambigue della seduzione e del dominio. Non lasciarsi calamitare dal consenso significa accettare di essere liberi e veri, ma umanamente si è soli e incompresi. Quel suo essere “obbediente”, ovvero il suo stare in ascolto davanti al Padre, rende Gesù autenticamente figlio e nel contempo vero fratello degli uomini, non teso a dominare su di loro, ma a renderli autenticamente liberi.
Gesù sceglierà di morire in croce, sentendosi abbandonato da tutti, perfino dal Padre, pur di vivere un’assoluta fedeltà all’uomo, che si rivela come l’unica, vera e assoluta fedeltà alla volontà del Padre. Sulla croce Gesù rinuncia a essere un dio per il suo popolo: è “il maledetto che pende dal legno”, l’impostore, colui che aveva cercato di rubare la messianicità. In quell’ultimo istante, quando viene esortato beffardamente a scendere dalla croce, per essere il messia vincitore tanto atteso dalla folla, Gesù sceglie di non scendere, accettando, per amore, il fallimento totale presso il suo popolo: solo a prezzo di questa tremenda “kenosis”, di questo svuotamento, e dunque al massimo prezzo, si compirà la liberazione dell’umanità. Per tutta la vita Gesù ha combattuto i demòni, ha ridotto al silenzio coloro che lo spingevano ad assecondare le aspettative della folla, che si attendeva un messia sovrumano, un condottiero con spettacolari qualità di supereroe. Gesù li farà tacere, nascondendo agli occhi del mondo la sua vera identità, che sarà svelata solo sulla croce, e confermata dalle parole di quel centurione, pagano per altro, il più idolatra agli occhi degli israeliti, che sa vedere in colui che pende dal legno della croce, il vero volto del Dio invisibile.
(DON UMBERTO COCCONI)
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